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I parassiti e le parassitosi

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La vita, si sa, in fondo non è che uno dei tanti modi in cui la materia si aggrega.

Un modo però energeticamente molto dispendioso: gli esseri biologici, nel tentativo perenne di contrastare l’entropia dei loro sistemi, hanno un bisogno costante di approvvigionamento energetico.

Questo comporta, generalmente, lo sfruttamento di un’altra entità biologica.

Ci sono organismi autotrofi, cioè in grado di convertire l’energia di cui hanno bisogno a partire da altre energie non organiche (ad esempio, i fotoni o i minerali), e ci sono organismi eterotrofi, che non sono in grado di farlo.

Per quest’ultimi, non c’è che un rimedio: prenderli da altri organismi che l’hanno già fatto in precedenza.

Il parassitismo può essere visto come una forma d’eccellenza di eterotrofia: sfruttare abilmente l’energia di un altro essere vivente, l’ospite, per ridurre al minimo quella necessaria al parassita, e permettergli quindi di sopravvivere.

Praticamente tutti gli esseri viventi sono sotto la minaccia di uno o più parassiti che tentano costantemente di attaccarli per depredarli delle loro risorse, e l’essere umano non fa eccezione alla regola.

Scopri cosa sono le parassitosi, da cosa sono causate e quali patologie possono portare all’uomo.

Il parassita è un’entità biologica impossibilitata alla sopravvivenza autonoma, che necessita di un altro organismo vivente (ospite) per completare il proprio ciclo vitale.

Cos’è un parassita?

I parassiti e le parassitosi

Il parassita è un’entità biologica impossibilitata alla sopravvivenza autonoma, che necessita di un altro organismo vivente (ospite) per completare il proprio ciclo vitale.

A differenza del rapporto di simbiosi, in cui due esseri si scambiano reciprocamente favori guadagnandone entrambi, il parassita crea sempre un danno all’ospite, predandone le risorse biologiche e causandogli spesso severe patologie.

Vi sono tantissimi tipi di parassiti, sia unicellulari che pluricellulari: microorganismi, vegetali e animali.

Anche i virus sono considerati dei parassiti, e anche di eccezionale livello, in quanto ritenuti la massima espressione del ‘parassitismo estremo’.

Vi sono delle particolari caratteristiche che un parassita deve avere per essere considerato tale, e tra esse vale la pena ricordare:

  • Rapporto esclusivo con un ospite
    Sebbene un ospite può essere attaccato da diversi parassiti (anche di diverse specie) un parassita è legato sempre ad un solo ospite;
  • Impossibilità a vivere senza l’ospite
    Un parassita non può completare un ciclo vitale senza l’ospite.
    Sebbene esistano dei casi di parassitismo facoltativo, un parassita puro non è in grado di sopravvivere per lunghi periodi senza l’ospite a cui preda energia e risorse biologiche;
  • Vita più breve e più semplice rispetto all’ospite
    Un parassita ha una struttura biologica solitamente molto più semplice rispetto a quella dell’ospite che preda, e un ciclo vitale molto più breve;
  • Un parassita, generalmente, non porta alla morte l’ospite
    Un parassita di solito muore se l’ospite muore. Il parassitismo, quindi, non mira alla morte dell’ospite ed è pertanto differente dalla predazione propriamente detta

Tanti tipi di parassiti

I parassiti e le parassitosi

Il parassitismo è una forma di vita abbastanza di successo: ogni essere vivente è potenzialmente attaccabile da un parassita, mentre in pratica tutti gli organismi sono perennemente attaccati dai virus (che, va ricordato, è anch’esso un parassita).

Essenzialmente, esistono due tipi principali di parassita: endoparassiti e ectoparassiti.

Gli endoparassiti vivono all’interno del corpo dell’ospite, mentre gli ectoparassiti vivono all’esterno.

Ci sono poi parassiti particolari, chiamati cleptoparassiti, che invece che predare direttamente il corpo dell’ospite, ne rubano le risorse che esso stesso si è procurato (ad esempio, il cibo).

Le peggiori epidemie da parassitosi

L’uomo, come qualsiasi altro animale, è bersagliato da millenni da una grandissima quantità di parassiti, sia edoparassiti che ectoparassiti.

Essendo un essere biologicamente molto complesso, la struttura del corpo umano è perfetta per dare rifugio e nutrimento a una lunga serie di sgraditi visitatori, a volte visibili (come le zanzare) a volte invisibili (come gli acari o i protozooi).

Molti di essi danno origine a devastanti patologie che ammorbano la razza umana sin dalla sua comparsa sulla Terra, e che in molti casi sono diventate autentiche calamità, trasformatesi in pandemie vere e proprie.

Eccone alcune tra le più tremende e famose.

Nota: vengono elencate solo le parassitosi di origine non virale.

Se volete avere invece un quadro completo delle infezioni virali, cliccate qui per andare alla pagina corrispondente.

La malaria

I parassiti e le parassitosi

Antichissima patologia già nota ai medici greci del II secolo avanti Cristo, causata dall’infezione del protozoo del genere Plasmodium.

Sono quattro tipi del parassita in grado di provocare la malaria nell’essere umano: il Plasmodium vivax, il Plasmodium ovale, il Plasmodium malarie e il più famoso e temibile del quartetto, il Plasmodium falciparum.

A queste quattro specie per così dire ‘storicizzate’ parrebbero affiancarsi anche altre specie nuove, la cui eziologia è però al momento oggetto di dibattito.

Il parassita è trasmesso all’uomo attraverso un insetto vettore, ovverosia la famosa zanzara della specie Anopheles.

Il microorganismo, in grado di regredire a spora, s’incista nelle ghiandole salivari della zanzara, e penetra all’interno dell’uomo durante il pasto ematico dell’insetto.

Attraverso il circolo sanguigno, il parassita arriva alle cellule del fegato (gli epatociti), dove comincia a riprodursi in forma asessuata.

Dopo qualche giorno (che varia in base alla specie di Plasmodium) avviene la lisi degli epatociti, e i nuovi parassiti, ancora in forma non completa (merozoite), inondano la circolazione ematica, dove infettano gli eritrociti, ovverosia i globuli rossi.

Dentro i globuli rossi i parassiti maturano ulteriormente, fino a provocare la rottura e la morte delle cellule, e il conseguente rilascio di sostanze pirogene, che danno ciò luogo alla comparsa di febbre e dei tipici sintomi della malaria.

Da lì, i parassiti sono in grado di iniziare un nuovo ciclo, infettando nuove cellule.

I parassiti e le parassitosi

Questa sequenza di cicli da i canonici sintomi della malattia malarica, con la classica febbre intermittente.

Solitamente l’infezione viene tenuta in bilanciamento dal sistema immunitario che, alla lunga, riesce a debellarla, anche se ciò può richiedere mesi (o addirittura, anni).

Anche una volta guarito, per molto tempo il malato di malaria ha dentro il corpo ancora una grande quantità di protozooi del Plasmodium mutati in gametociti (ciò a differenziazione sessuale, maschi e femmine), che possono essere aspirati dalla zanzara Anopheles durante il pasto ematico.

Nello stomaco della zanzara i protozoi si accoppiano, formando così nuovi parassiti che possono dar vita a nuove infezioni in nuovi ospiti. 

I parassiti e le parassitosi
Le paludi sono zone ideali per la nidificazione della zanzara Anopheles, e quindi luoghi endemici della malaria

La malaria è endemica in molte zone del mondo, soprattutto a causa degli ambienti favorevoli al suo vettore, la zanzara Anopheles.

Tali luoghi, quasi tutti umidi e paludosi, sono ideali all’insetto per l’accoppiamento, e per il deposito delle nuove uova, che avviene sempre sul pelo dell’acqua ristagnante.

Datosi che lo sviluppo dell’epidemia è totalmente legato al controllo del suo insetto vettore, uno dei metodi più efficaci per ridurre le infezioni è quello di procedere alla bonifica dei territori paludosi e gli acquitrini, dove la zanzara Anopheles può nidificare.

La malaria non è contagiosa in senso proprio del termine: un soggetto ammalato cioè non infetta solitamente un soggetto sano, né con la saliva e né con i fluidi corporali oro-fecali.

Il parassita si trasmette solo attraverso il sangue, quindi o per trasfusioni infette (evento ormai rarissimo) oppure per puntura di una zanzara Anopheles altrettanto infetta.

Un altro evento di trasmissione, raro nei paesi sviluppati, è la trasmissione transplacentare al momento della nascita: una piaga nei paesi in via di sviluppo, specie in Africa, ma ormai quasi del tutto improbabile in quelli occidentali.
La malaria, chiamata anche paludismo, è una malattia che ammorba l’essere umano da circa 50.000 anni.
I tipici sintomi della febbre terzana (ogni tre giorni) e quartana (ogni quattro giorni) furono ampiamente descritti da Ippocrate già nel IV secolo a.C. e, da quel che sappiamo, grazie all’incredibile adattabilità del suo insetto vettore ha appestato ogni angolo del mondo, ad esclusione delle zone troppo fredde.
Il suo nome, ‘mal aria’ (cattiva aria) è di origine medievale, e molto probabilmente è mutuato dall’antica concezione ippocratica, che incolpava dell’insorgere delle malattie (che oggi sappiamo essere opera dei microorganismi) l’aria stessa, ritenuta di per sé infetta.

Anche se carenti di cognizioni mediche moderne, tuttavia, i nostri antenati avevano empiricamente intuito che c’era una profonda correlazione tra la tipica febbre intermittente, che colpiva solo nel periodo caldo (estate-autunno) e la vicinanza con i luoghi paludosi, ideali alla proliferazione della zanzara Anopheles.
Fu solo alla fine dell’800, soprattutto grazie agli scienziati italiani Camillo Golgi e Giovanni Battista Grassi, che si capì finalmente che la malaria è causata dal protozoo Plasmodium, con la zanzara Anopheles come ospite intermedio.

All’epoca, in Italia si contavano fino a 15.000 morti l’anno per le febbri malariche, e l’eradicazione degli ambienti ideali alla zanzara vettore fu uno dei capisaldi dello neo costituito Stato unitario, che vennero portati avanti con costanza anche dopo la dissoluzione del fascismo.
Già negli anni ’50, con le costanti opere di bonifica, la malattia malarica era già stata quasi del tutto eradicata: fu negli anni ’70 che l’Istituto Superiore della Sanità dichiarò l’Italia zona bonificata dal morbo.
Attualmente, nuovi casi si presentano solo acquisiti, da pazienti infettati di ritorno da zone endemiche.

Anche in molte zone d’Italia la malaria era endemica, così come nel resto d’Europa.

Lo è stata per secoli, ovviamente nelle zone paludose o a ridosso di esse (ad esempio, nell’area dell’Agro Pontino nei pressi di Roma), sino alla fine delle grandi opere di bonifica.

Furono gli antichi romani, per primi, a capire che la malattia colpiva con particolare ferocia in vicinanza di zone paludose (com’era la campagna romana dei tempi), e furono sempre loro che iniziarono le prime opere di bonifica, anche con eccellenti risultati dovuti alla loro grande maestria ingegneristica.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e i conseguenti secoli medievali, le bonifiche in Italia si fermarono praticamente del tutto, e l’arretratezza medica e scientifica, una spina nel fianco di tutto il Medioevo occidentale, permise il ritorno in grande stile della malaria, e tale situazione rimase immutata sino alla fine del XIX secolo.

Fu solo dopo la costituzione del Regno d’Italia che si progettarono e realizzarono imponenti piani di bonifica integrale, resi imponenti dalla volontà di Benito Mussolini, nell’ottica fascista di distribuire più terra possibile (coltivabile) alle classi sociali meno abbienti dell’epoca.

Anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la volontà dello Stato non mutò l’opera di completamento delle bonifiche, e dal 1970 in poi il pericolo malaria in Italia è praticamente cessato, con soli pochi casi sporadici ogni anno.

La malaria continua però ad essere una pandemia serissima, diffusa a livello globale specie nei paesi più poveri: ogni anno si stima che vi siano tra i 4 e i 5 milioni di nuovi casi, con oltre 200 milioni di persone accertate malate al 2018.

Anche il bilancio dei morti è impressionante: circa 500.000 l’anno, il 90% e passa nei paesi africani.

Non è ancora disponibile un vaccino efficace contro il Plasmodium, e il trattamento dell’infezione acuta e grave (causato solo dal genere Plasmodium falciparum) è attuato con antibiotici specifici o col vecchio (ma sempre valido) rimedio dei farmaci a base di chinino.

Nel 2021, dopo tanti anni di sperimentazione, finalmente l'OMS ha dato l'assenso alla distribuzione in massa del primo vaccino efficace contro la malaria.

Le amebiasi

L’amebiasi è l’infezione intestinale causata dall’Entamoeba histolytica, un’ameba parassita specializzato nel colonizzare l’intestino umano.

È un parassita estremamente pericoloso e altamente infettivo: ogni anno infetta tra i 40 e i 50 milioni di persone, uccidendone almeno 50.000.

Infetta l’uomo per via diretta (oro-fecale) oppure indiretta, per ingestione di cibo od acqua contaminati.

L’ameba si moltiplica velocemente una volta che raggiunge le mucose intestinali: dallo stato di ciste passa rapidamente a quello di protozoo, ulcerando le pareti del colon e provocando anche violente emorragie.

Da lì, a volte, può riversarsi nel circolo ematico, raggiungendo cuore, peritoneo, fegato e polmoni.

I parassiti e le parassitosi

L’infezione da amebiasi causa violente scariche diarroiche, vomito e, se il parassita riesce ad arrivare al fegato, anche infiammazione dello stesso con conseguente epatite.

In molti casi, circa il 90%, l’infezione ha esiti benigni e spesso asintomatici, ma nel restante 10% si hanno episodi gravi, mortali se non trattati per tempo.

L’Entamoeba histolytica è endemica in tutte le aree del mondo equatoriali o tropicali, specie in quelle con condizioni igieniche deficitarie, dove rappresenta una seria e costante minaccia alla salute pubblica.

Il trattamento dei casi sintomatici gravi è gestito per mezzo di antibiotici specifici, solitamente a base di metronidazolo e tinidazolo.

Anche i soggetti asintomatici dovrebbero essere trattati preventivamente, per evitare il manifestarsi di forme sintomatiche gravi.

Fuori dai paesi endemici il rischio di amebiasi è praticamente nullo: in Italia ne vengono riportati solo pochi casi l’anno, tutti in viaggiatori provenienti da zone in cui il parassita è endemico.

La giardiasi

I parassiti e le parassitosi

Altra parassitosi di carattere intestinale, causata dal protozoo flagellato della Giardia lamblia.

Come altri parassiti squisitamente intestinali, si trasmette per ingestione di cibo o acqua infetti, e si annida nelle mucose del colon, dove prolifera in grande quantità causando dolori addominali, diarrea, meteorismo, conati e crampi.

È una patologia che affligge milioni di persone ogni anno, circa 300.000.000, quasi tutte in paesi dalle precarie condizioni igieniche e sanitarie.

I trattamenti per la giardiasi si basano sulla somministrazione di antibiotici, ma non sono sempre necessari, in quanto nella maggioranza dei casi il sistema immunitario riesce a debellare il parassita in circa 10-14 giorni.

L'ergotismo

La Claviceps purpurea è un fungo parassita dei cereali, principalmente del grano e della segale.

Ha una caratteristica particolare, che ne fa subito riconoscere l’infezione: produce degli sclerozi (delle protuberanze, in pratica) piuttosto simili a corni, o speroni, chiamati anche in francese ‘ergot’.

Proprio questa peculiarità, nei secoli, ha fatto guadagnare al parassita il nomignolo di ‘segale cornuta’, piuttosto azzeccato quando il fungo appesta le coltivazioni di segale.

Di per sé, il fungo è un parassita obbligato che affligge solamente i cereali: durante la riproduzione della primavera, le spore del fungo vengono trasportate dagli insetti vettori, che trasmettono l’infezione di spiga in spiga.

Non è quindi un parassita che attacca direttamente l’uomo o gli animali, eppure per secoli è stato uno dei nemici più tremendi delle genti europee, soprattutto quelle più povere.

I parassiti e le parassitosi

Il perché della pericolosità della segale cornuta è presto detto: se ingerito oltre una certa percentuale (ne basta comunque molto poca), il fungo secerne dei micidiali alcaloidi velenosi e psicoattivi, simili a quelli della nota droga sintetica LSD.

Inoltre, essendo potenti vasocostrittori, gli alcaloidi possono causare seri danni alla circolazione sanguigna, in particolar modo quella periferica.

L’intossicazione da ergot può degenerare in attacchi di natura pseudo-epilettica (ergotismus convulsivus) oppure arresto totale della circolazione degli arti, con conseguente gangrena e relativa setticemia (ergotismus gangraenosus).

In tutti e due i casi gli intossicati sperimentano allucinazioni visive, uditive e olfattive, in grado di sconvolgere totalmente la psiche dei soggetti.

I parassiti e le parassitosi

Può sembrare assurdo, a noi viziati cittadini contemporanei, abituati spesso al consumismo esasperato e allo spreco sistematico di cibo, ma nei secoli passati, la maggior parte della popolazione europea (e mondiale) era quasi perennemente disperata e affamata.

Carestie, guerre, pestilenze e condizioni igieniche semplicemente indecenti, unite alla difficoltà di coltivare grandi appezzamenti di terreni con la sola forza animale, rendevano la farina cereale un bene prezioso, che non poteva essere sprecato in nessun modo.

Nel passato, si produceva pane con qualsiasi cereale si riuscisse decentemente a coltivare: orzo, mais, segale, grano, tutto ciò che era essiccabile, macinabile e digeribile.

In situazioni di costante emergenza, in terre squassate giornalmente da orribili guerre ed epidemie, non si poteva di certo ‘badare al dettaglio’: i cereali affetti dalla parassitosi da ergot venivano quindi tranquillamente macinati, senza selezionare tra spieghe malate e sane.

Il pane dell’epoca, specie quello poverissimo per i poverissimi (quasi sempre, quello di segale) conteneva quasi sempre alte dosi di Claviceps purpurea, che intossicavano chi lo mangiava.

E chi lo mangiava era quasi sempre chi non si poteva permettere niente di meglio.

Le intossicazioni da ergot, chiamate ergotismo, furono una piaga sociale per secoli e secoli: causavano vere e proprie epidemie, con poveracci drogati fino all’inverosimile oppure completamente paralizzati, e alte percentuali di morti.

In periodi bui, in cui la medicina ufficiale era poco più che un miscuglio di pratiche esoteriche totalmente inutili, astrologia e religione, si credeva spesso che i poveri intossicati dall’ergot non fossero altro che ‘indemoniati’, meritevoli di esorcismo.

La commistione tra religione e patologia era fortissima: ai tempi, l’ergotismo era chiamato anche ‘fuoco di Sant’Antonio’, ed era a volte confuso con il più benigno Herpes Zoster (il virus che genera la varicella e la sua recrudiscenza).

Forse per via della leggenda legata al santo (che fregò il fuoco al demonio, sulla falsariga del mito greco di Prometeo), l’ergotismo fu visto dai credenti dell’epoca come una patologia che una devota preghiera nei santuari di Antonio abate poteva curare.

Nacque così una lunga storia di pellegrinaggi dei devoti-malati, e nacque pure un ordine di monaci speciale, l’Ordine degli Ospedalieri Antoniani, che curavano con meticolosità i pellegrini in arrivo da tutte le parti d’Europa, in cerca di una miracolosa cura.

Ora parrà strano, ma proprio l’ordine degli antoniani fu l’inizio del concetto di ‘hospetale’, da cui derivano i nostri moderni nosocomi!

Naturalmente, i monaci dell’epoca non potevano essere a conoscenza dei microorganismi e del fungo che causa l’ergot, ma avevano comunque intuito che cambiando alimentazione dei disgraziati a cui davano ristoro era cosa efficace, e i sintomi dell’ergotismo miglioravano fino a scomparire.

Il mistero sull’ergotismo finì definitivamente nel 1853, quando il botanico francese Louis René Tulasne chiarì scientificamente l’infezione da Claviceps purpurea, associandola all’intossicazione alimentare che per decenni aveva falcidiato milioni di persone in tutto il mondo.

Nel 1938, il chimico svizzero Albert Hofmann riuscì a sintetizzare l’acido lisergico puro, alla base dell’alcaloide della segale cornuta, sperimentando così per la prima volta la dietilamide dell’acido (il famoso LSD).

Si scoprì così che le allucinazioni dei poveri intossicati dall’ergotismo altro non erano che l’effetto di una droga potentissima, dagli esiti spesso fatali.

Con le ferree regole sanitarie moderne, le intossicazioni da ergotismo sono praticamente scomparse: il grano e i cereali ad uso alimentare umano vengono accuratamente selezionati, e i chicchi contaminati eliminati.

L’ultimo caso di accertato ergotismo di massa risale al 1951, nella cittadina francese di Pont-Saint-Esprit: vennero avvelenate circa 250 persone, grazie alla dolosa responsabilità del mugnaio del paese che, per risparmiare, mischiò della farina avariata (infettata dall’ergot) con quella buona, provocando così l’intossicazione di massa.

La scabbia

Il piccolissimo acaro Sarcoptes scabiei, invisibile ad occhio nudo, adora nidificare sotto la pelle degli uomini e degli animali, scavando profondi e complessi cunicoli e causando un intenso prurito, difficilmente sopportabile.

Il microscopico acaro ci ama e ci apprezza da millenni: già gli egizi ne erano flagellati, mentre Aristotele aveva capito per primo che le tipiche eruzioni cutanee causate dall’attività sottopelle del parassita erano attribuite a piccolissimi acari.

Fu il famoso medico romano Aulo Cornelio Celso, straordinario patologo, a descriverne per primo  il tipico rush cutaneo, ed ad attribuirgli il nome che correntemente usiamo (da ‘scabere’, ovverosia grattare).

I parassiti e le parassitosi

La scabbia è una parassitosi subdola, in quanto l’acaro è presente in ogni parte del mondo, specie in condizioni igieniche malsane o assenti, e meglio se in aree grandemente affollate.

Alcune statistiche hanno numeri impressionanti: si stima che oltre 200 milioni di persone ne siano affette regolarmente, specie nelle aree tropicali o nei paesi in via di sviluppo.

La scabbia, chiamata anche col dialetto romano di ‘rogna’, ha flagellato l’essere umano per secoli e secoli, non risparmiando anche personalità illustri: si sospetta che anche il famoso Jean-Paul Marat, l’inflessibile rivoluzionario francese, ne fosse affetto.

I parassiti e le parassitosi
L'acaro dello Sarcoptes scabiei visto al microscopio elettronico

La scabbia è una parassitosi che può regredire autonomamente solo nelle forme non gravi, ma solitamente (specie in contesti a bassissimo livello d’igiene e in soggetti immunodepressi) può cronicizzare anche per anni.

Per questo motivo, generalmente, si prescrive sempre una terapia medica, appena si ha la conferma della diagnosi.

Oggigiorno esistono farmaci molto efficaci per curare la scabbia, che si basano principalmente sull’azione acaricida della permetrina, oppure della ivermectina.

Una scrupolosa pulizia e sterilizzazione di materassi ed indumenti degli ammalati è altresì d’obbligo, in modo da eradicare totalmente qualsiasi colonia parassitaria.

La candidosi

Il fungo Candida albicans è un lievito abbastanza particolare, che da millenni si è adattato a vivere sul nostro corpo, per lui un luogo decisamente comodo e confortevole.

Si annida in tutto il tratto gastrointestinale, dal cavo orale all’ano e, nelle donne, colonizza anche la vagina.

Essendo un parassita saprofita, il fungo della candida si nutre dei nostri scarti organici, e generalmente condivide con l’essere umano più un rapporto simbiotico che parassitario.

Grazie all’azione di fermentazione del lievito, infatti, la Candida albicans ci permette di digerire al meglio gli zuccheri, aiutando quindi il nostro metabolismo.

I parassiti e le parassitosi
Il fungo della candida fotografato da un microscopio elettronico a scansione

Questo rapporto abbastanza conveniente tra il nostro fisico e il fungo è solo all’apparenza simbiotico: la candida è essenzialmente un parassita, che fa quindi i propri interessi a scapito dell’ospite, costantemente.

In situazioni normali, il numero totale dei parassiti è tenuto sotto controllo dal nostro sistema immunitario, che riesce sempre con efficacia ad eliminare l’eccesso delle colonie, anche in cooperazione con i batteri naturalmente presenti sul nostro corpo, non patogeni, che sono degli antagonisti naturali del fungo.

Basta però una situazione di stress del nostro fisico, o anche immunodeficienza temporanea, magari causata da una cura antibiotica, una precedente infezione o una carenza alimentare per far sì che la proliferazione del fungo cresca in maniera incontrollata, dando origine quindi alla candidosi.

La maggior parte delle candidosi è asintomatica, quindi il malato neppure si accorge dell’eccesso di proliferazione micotica.

Nelle persone sintomatiche, invece, la candidosi si presenta come un arrossamento e un’infezione localizzata nelle mucose di bocca, gola, lingua, ano e vagina, oltreché nella pelle esterna dei genitali maschili.

Un tipico sintomo è la forte sensazione di prurito, tipica dell’infiammazione superficiale del derma o della mucosa.

Nella bocca e nel cavo orale in generale, la candidosi prende il nome di mughetto, e si manifesta con le tipiche placche biancastre che ricoprono spesso lingua e gola dei bambini (soggetti a volte colpiti dalla candidosi in quanto non ancora con un sistema immunitario ben formato).

In alcuni casi, la candidosi può penetrare in profondità nei tessuti gastrointestinali, andando ad infettare il circolo sanguigno (candidosi profonda).

È una situazione ad alto potenziale di gravità, che se non trattata per tempo può avere anche decorso fatale.

Pazienti anziani, debilitati, immunodeficitari (con sindrome AIDS conclamata) o che hanno subito di recente un intervento chirurgico sono soggetti preferenziali per sviluppare una candidosi, che può comunque infettare anche persone sane, tramite rapporti sessuali non protetti.

La candidosi è una parassitosi molto comune, specialmente nelle donne: si stima che il 60% di esse, in tutto il mondo, almeno una volta nella vita sia affetto dalla patologia.

Negli uomini la percentuale è molto più bassa, arrivando a livelli veramente frazionari.

La terapia per debellare l’infezione si basa essenzialmente su antimicotici, con soluzioni topiche oppure orali.

La cisticercosi e la teniasi

La Taenia solium è un verme endoparassita che adora nidificare nell’intestino umano, dove trova ogni genere di nutrimento, assorbendo direttamente l’energetico chilo dell’intestino tenue.

Il parassita penetra nell’organismo umano attraverso un metodo eccezionalmente furbo: le sue uova, deposte nell’intestino dell’ospite ed espulse con le sue feci, contaminano l’ambiente dove si depositano, e dove possono rimanere inattive per molti mesi.

Le uova aspettano di essere ingerite da un ospite intermedio, che in questo caso è il maiale, che può ingerire materiale infetto (feci o terra contaminata dalle feci).

Nel maiale, le uova si tramutano in larve, che si incistano in determinati punti del suino, soprattutto i muscoli, la lingua e il cuore, dove maturano ad secondo stadio intermedio chiamato cistercerco.

In questa forma il parassita può sopravvivere per anni, aspettando pazientemente che le carni infette del maiale siano ingerite dall’ospite definitivo, ovverosia l’uomo.

Quando ingeriti, i cistercerchi arrivano facilmente nell’intestino, tramutandosi nella forma finale della tenia: un lunghissimo verme (lungo anche fino a quattro metri!) dotato di scolici terminali, ossia un apparato di ventose ed uncini adatto ad attaccarsi alle pareti intestinali umane.

Nell’intestino il parassita prolifera e prospera, deponendo altre uova che, espulse con le feci, andranno ad alimentare un altro ciclo vitale.

I parassiti e le parassitosi

A volte, sebbene non sia così frequente, le uova ingerite dall’uomo non si tramutano in vermi adulti ma danno origine a una cisticercosi (simile a quella che avviene nell’ospite intermedio, il maiale), che in caso di infezione cerebrale può avere esiti letali.

La teniasi, ossia l’infestazione da tenia, è una tipica parassitosi alimentare, causata dalle precarie condizioni igieniche di allevamento dei suini e della preparazione dei cibi: infetta ogni anno circa 50.000.000 di persone, quasi esclusivamente nei paesi in via di sviluppo.

I parassiti e le parassitosi
La 'testa' della tenia, con le evidenti ventose e scolici (gli arpioni), in grado di attaccarsi alle pareti intestinali

La prevenzione ed in contenimento della teniasi e della cisticercosi è abbastanza banale: basta cuocere bene le carni dei suini, poiché il calore uccide i cisticerchi.

Anche la surgelazione della carne è un processo in grado di uccidere il parassita, se praticata a svariati gradi sotto zero e continuata per vari giorni.

La terapia per la teniasi è anch’essa abbastanza semplice, a base di mebendazolo o principi attivi similari, in grado di staccare la testa del verme dall’intestino e permetterne quindi l’espulsione con le feci.

Solo in rari casi è necessario ricorrere all’intervento chirurgico di rimozione del parassita, un’operazione comunque abbastanza semplice e non invasiva.

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Giorgio Fiorini
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A 10 anni volevo essere Haran Banjo, a 40 mi sono accontentato di essere riuscito a divenire me stesso.
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