Alighiero & Boetti
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Alighiero Fabrizio Boetti nasce a Torino il 16 dicembre 1940 da padre notaro e madre violinista.
Fin da subito si appassiona all’arte che apprende da autodidatta, dopo aver abbandonato gli studi di economia e commercio.
Esponente principale del movimento dell'Arte Povera, ha esposto nelle mostre più prestigiose e emblematiche della sua generazione ed è stato sei volte presente alla Biennale di Venezia.
Il suo lavoro è particolarmente affascinante e allo stesso tempo difficile da decodificare per via delle composizioni misteriose fatte di segni, cifre e lettere, a cui aggiunge una felice tendenza alla pop art nell’uso di colori e immagini di diretto impatto visivo.
Io ritengo Boetti l'Andy Warhol europeo: entrambi erano ossessionati dall'idea di ripartizione.
Coltiva interessi per varie discipline, dalla matematica alla filosofia, dalla musica all’esoterismo, e soprattutto per la geografia: quest’ultima lo spingeva a viaggiare e conoscere le culture extra europee, in particolare quella africana e medio orientale.
Era affascinato dalla figura del suo antenato Giovanni Battista Boetti nato nel 1743, missionario domenicano a Mossul (antica città mesopotamica diventata metropoli cristiana nell' Asia Minore ottomana, oggi territorio iracheno), il quale si era convertito all'esoterismo islamico persiano, il sufismo, e sotto il nome di "Profeta Mansur" combatté contro l’imperialismo zarista nel Caucaso, dall' Armenia alla Cecenia.
Alighiero Boetti e il gufo Memè, Archivio Alighiero Boetti, Roma
Tra il 1960 e il 1965 comincia a realizzare disegni astratti di oggetti fra cui microfoni, cineprese e macchine fotografiche; sperimenta inoltre materiali quali il gesso, la masonite, plexiglas e congegni luminosi.
Nel 1962 si sposa e ha due figli, Matteo e Agata.
Al 1966 appartengono suoi primi lavori tridimensionali: "Catasta", "Scala", "Sedia", "Ping Pong" e "Lampada annuale".
Sono lavori che tendono all’impoverimento e alla decultura dell’arte: realizzate con materiali industriali i quali perdono le loro caratteristiche specifiche per diventare oggetti semplici, di uso quotidiano (si vedano ad esempio i tubi di eternit).
Questa prima fase di lavoro è legata all’Arte Povera, e come tale predilige l’utilizzo di materiali di facile reperibilità, sia naturali e organici sia industriali (legno, pietra, terra, vegetali, stracci, plastiche, neon, scarti industriali).
Alighiero Boetti, Asta per microfoni, 1965, Inchiostro di china su carta, cm 100 x 70
"Lampada annuale", del 1966, è una lampadina che si accende solo una volta all’anno, per undici secondi e in un momento imprecisato, definita dallo stesso artista "un’espressione non dell’avvenimento, ma dell’idea dell’avvenimento stesso".
Nel 1967 realizza "I vedenti", una lastra in gesso con una superficie abbastanza grezza, su cui Boetti ha impresso col dito una serie di buchi ordinati che formano la parola “i vedenti”: una scritta che può essere letta sia dai vedenti che dai non vedenti (col tatto).
Il bisogno di liberarsi dalla fase poverista si farà sentire nel 1969 con l’opera "Niente da vedere, niente da nascondere", una vetrata da appoggiare alla parete che invita alla contemplazione.
Alighiero Boetti, Lampada annuale, 1967, legno, metallo, vetro e dispositivo elettrico cm 76 X 37 X 37
La nuova fase dell’artista si apre con "Cimento dell'armonia e dell'invenzione", che consiste nel ricalcalcare a matita i quadretti di venticinque fogli da parte di una mano che è libera, perché non è guidata dal supporto di un righello, ma al contempo non lo è, perché non può svariare liberamente sul foglio.
Questa invenzione è all’origine della svolta degli arazzi che verranno in seguito.
A partire dagli anni '70 Boetti, compiendo una serie di viaggi, scopre l’Afganistan che da questo momento in poi visiterà almeno due volte l’anno fino al 1979, aprendo la sua vicenda artistica al tema della differenza, del multiculturalismo, della contaminazione.
È proprio tra il 1971 e il 1979 che avvengono i mutamenti più importanti all’interno della sua poetica artistica.
Alighiero Boetti, I vedenti, 1967
È il periodo cruciale quello che va dal 1971 all’anno successivo, il 1972, quando si trasferisce a Roma in un clima diverso e rinnovato dove lui stesso dichiara di trovare l’apertura e la generosità di cui aveva bisogno, sbarazzandosi dell’eccessivo rigore che si respirava nella fredda città di Torino.
Nel 1970 la serie dei "Viaggi postali" (o Dossier postale) iniziata l'anno prima si conclude.
In questo lavoro Boetti crea delle lettere che vengono inviate in ogni parte del mondo a indirizzi inesistenti, per cui tornano via via al mittente, dopo un tour del mondo.
Queste lettere una volta ritornate al mittente sono state fotocopiate, raccolte e sistematicamente ordinate nel Dossier Postale.
Inizia i primi lavori in cui i francobolli apposti sulle buste esaudiscono tutte le possibili combinazioni e permutazioni.
Ho usato i francobolli per i loro colori come un artista usa un pennello o i pastelli.
Si tratta dei "Lavori postali (Permutazione con calligrammi)" del 1970 fatti da lui stesso e giocati sulla permutazione matematica dei francobolli, come gli esercizi a matita su carta quadrettata basati su ritmi musicali o matematici.
Il lavoro postale più imponente è costituito da settecentoventi buste affrancate e timbrate, "Senza numero" del 1972, che occupano sei pannelli per una lunghezza di circa nove metri.
Alighiero Boetti, Niente da vedere niente da nascondere 1969 ferro e vetro, cm 300 X 400 X 400
Porta al suo sviluppo estremo il gioco simmetrico tra segni combinatori su una superficie quadrettata, avviato nel 1969 su scacchiera di legno e poi con segni colorati su fogli da disegno, creando la monumentale "Estate '70": un rotolo di 20 metri, con migliaia di bollini autoadesivi colorati.
Un principio matematico-combinatorio si trasforma quindi in una sorta di danza, in cui il francobollo 'mobile' salta da una posizione all'altra componendo una sorta di linguaggio morse.
Alla fine dell'estate 1970 decide di spingersi nella catalogazione di una parte della geografia molto controversa, la lunghezza dei grandi fiumi.
Alighiero Boetti, Cimento dell'armonia e dell'invenzione, 1969
Insieme alla moglie inizia un lungo lavoro che terminerà nel 1977, nel libro in 500 esemplari, classificando i mille fiumi più lunghi del mondo, dal Nilo all’Agusan, che scorre brevissimo.
Poiché è estremamente difficile calcolarne con precisione la lunghezza effettiva, il fiume diventa una metafora per eccellenza della precarietà e casualità del fluire della vita individuale e collettiva nel tempo e nello spazio, in quanto è difficile calcolare con precisione la lunghezza di un fiume estremamente variabile.
I fiumi sono difficilissimi da misurare; ci sono tanti metodi di lettura sulla lunghezza dei fiumi. Ci sono fiumi temporanei, stagionali, e ciò pone il problema della loro classificazione; altri che si allungano o si accorciano; inoltre bisogna decidere dove si misura il fiume, se in centro, ai lati a seconda delle curve a destra o a sinistra
Dal libro della classificazione dei fiumi saranno realizzati due grandi arazzi, uno bianco e uno verde, sui quali gruppi di donne dell’Afghanistan nella città di Kabul hanno ricamato con perizia e pazienza quelli che noi sappiamo essere i nomi di mille fiumi.
Nel 1971 termina l'opera in progress "Dodici forme a partire dal 10 giugno 1967" che formalizza il crescente interesse per l'intreccio politica, geografia e informazione.
Nel 1972 si trasferisce in pianta stabile a Roma, vicino alla chiesa di Santa Maria in Trastevere, e nel 1985 si sposta in uno studio accanto al Pantheon.
Alighiero Boetti, Viaggi postali - 1969/70 - 19 plichi affrancati e timbrati contenenti
Dal 1973 comincerà a firmarsi Alighiero e Boetti, una scelta che gli permetteva di distinguere la vita privata (per la quale usava il nome Alighiero) dalla vita pubblica (per la quale era Boetti).
L’introduzione della “e” fa sì che il nome sia composto in totale da 16 lettere che vanno quindi a comporre una quadratura, ossia il quadrato di quattro.
Queste indicazioni non sono casuali; i numeri e le lettere, nel lavoro di Alighiero, hanno il ruolo di scomporre i materiali e ricomporli sotto forma di numero o in ordine alfabetico, come contare i rintocchi quotidiani di un campanile (624 rintocchi interi e 144 quarti, 768 colpi in 24 ore).
Amava l’idea del doppio, del numero undici perché riproponeva due volte l’uno, concetto che si ricollega al tema dello specchio e che si ritrova nell’opera di Boetti.
Alighiero Boetti, Dossier Postale, 1969–70
Sotto il segno del doppio ricordiamo infatti i famosi "Gemelli" del 1968, spediti come cartoline a una cinquantina di amici, dove Boetti giocava sulla rappresentazione di sé davanti a uno specchio, raddoppiato con due figure identiche.
In "Autoritratto xerox" (1969) Boetti si serve di macchina fotocopiatrice per moltiplicare la propria immagine e per comunicare con una macchina cieca e sorda, usando il linguaggio dei sordomuti.
Per dodici volte quante sono le lettere che compongono il termine 'autoritratto', fotocopia il proprio volto accompagnandolo con la corrispondente lettera/gesto dell’alfabeto dei sordomuti.
Caratteristica del lavoro di Boetti è stata quella di separare il momento dell’invenzione dell’opera da quella sue esecuzione materiale, relegando a sé la parte mentale dell’ideazione mentre la fase esecutiva veniva commissionata a più mani.
Alighiero Boetti, Senza numero, 1972
Tale principio di delega può collegarsi al precedente tema dello sdoppiamento, della scissione tra ideazione ed esecuzione dell’opera.
Dai suoi numerosi viaggi in Afghanistan, in Europa, Africa, Stati Uniti e Giappone trae ispirazione per alcune delle opere più note come le mappe, i lavori postali e le opere a biro.
Le mappe sono forse tra le opere più note di Boetti che, realizzate a partire dal 1971, seguono tutto il percorso artistico fino al 1994.
In ciascuna mappa i territori del mondo si colorano delle bandiere mentre i simboli corrispettivi vengono racchiusi all’interno dei confini dei territori.
Questa ripartizione geografica scandita dalle cromie delle bandiere viene racchiusa, o meglio incorniciata, dai testi ogni volta diversi che percorrono i bordi di ciascuna mappa, ricamati in lingua italiana o in farsi.
Le parole seguono diverse direzioni di lettura, dall’alto verso il basso e viceversa oppure, da sinistra a destra e viceversa, riportando l’attenzione sulla parola e sul linguaggio che circonda il mondo.
Alighiero Boetti, I mille fiumi piu lunghi del mondo, 1976-78
Per le mappe delega il lavoro alle ricamatrici afgane, planisferi colorati che ripropone durante gli anni come fosse un registro dei vari cambiamenti storici e politici nel mondo, affidandone la rappresentazione alla variazione di ciascuna tessitura.
Il punto di partenza, nel 1969, è una carta politica del mondo dove ogni stato è colorato con i colori delle proprie bandiere.
La prima mappa ricamata dalle ricamatrici afgane è del 1971-1972 a Kabul e dopo questa ne seguiranno molte altre fino al 1994, sempre di grande dimensione, che documentano i cambiamenti dei confini politici (e anche eventualmente delle bandiere).
I ricami rappresentano una nuova modalità espressiva, con i quali oltre alle mappe saranno realizzati i grandi arazzi di lettere e farsi (persiano moderno) e le piccole frasi racchiuse in un quadrato che uniscono all’aspetto concettuale del linguaggio la bellezza della materia cromatica del ricamo.
Quando nasce l’idea di base, il concetto tutto il resto non ha più d’essere scelto.
La povertà dei materiali utilizzati da Boetti non ha a che fare con la natura ma con l’uomo: è partito da qualcosa di veramente semplice come una penna biro e un foglio a quadretti, per creare qualcosa di molto più complesso, come usualmente l'essere umano fa durante la vita di tutti i giorni.
Le opere in biro come "Mettere al mondo il mondo" del 1972, sono realizzate da persone esterne, incaricate da Boetti di riempire con la penna biro un cartoncino seguendo le indicazioni dell’artista, con un margine di libertà concesso alla gestualità del tratteggio a penna.
Inizia la realizzazione dei lavori-ricami basati sulla quadratura di parole e frasi, come "Ordine e disordine".
Alighiero Boetti, Dodici forme a partire dal 10 giugno 1967, 1971, Incisione su rame, 12 elementi, cm 59 X 43
Negli anni '80 e '90 aumentano i lavori su carta e si sperimentano nuove realizzazioni, ad esempio i mosaici, le composizioni colorate e di tecnica mista su carta in cui scorrono schiere di animali, memori della decorazione etrusca o pompeiana, di cui come sempre all'aspetto progettuale del lavoro segue l'apporto esterno della manualità altrui.
Comincia a inserire in un gran numero di lavori frasi scritte con la mano sinistra o ricamate, influenzato forse dall’artista americano Jasper Johns.
Il 1982 è anche l'anno di "Documenta 7", dove presenta il grande arazzo con i nomi dei fiumi e del definitivo distacco dalla moglie Annemarie.
"Sciogliersi come neve al sole pensando a te e a noi" è ricamato sulla cornice di una mappa del 1983.
Le sue opere si infittiscono di scritte con la mano sinistra, dove le lettere sembrano disegnate come nelle calligrafie orientali e arabe.
Alighiero Boetti, Gemelli, fotografia b-n, cm 17 x 13, 1968
Sempre del 1983 è "Clessidra Cerniera e viceversa", un'opera apparentemente semplice che sintetizza in un unico gesto alcuni temi cari all'artista.
Con il contributo delle donne afghane rifugiatesi a Peshawar in Pakistan proseguono i lavori a ricamo: le mappe aggiornate del mondo, nuove scacchiere di lettere colorate, arazzi monocromi e il nuovo progetto "Tutto".
Con quest’ultimo ciclo firma la serie di arazzi commissionati a partire dal 1988 alle donne afgane e cuciti secondo la regola di riempimento automatico dell’inconscio, usando tutti i colori senza creare ordini. Questo lavoro deriva dal precedente del 1980 dal titolo "Perdita d’Identità" dove un agglomerato di sagome assemblate, facenti parte della vita quotidiana, danno forma ad un ammasso pulsante di memoria collettiva.
Nel marzo 1990 realizza "Passepartout", un grande mosaico pensato appositamente per il pavimento della galleria francese di Lucio Amelio Piece Unique.
Alighiero Boetti, Autoritratto xerox, 1971, cm 29 x 21
L'opera consiste in un pentagono all'interno del quale, su ogni lato, sono stagliati in negativo cinque tipologie di archi appartenenti a periodi e culture diverse: arco romanico, arco gotico, a ogiva, arco a tutto sesto, arco islamico e arco bizantino a ferro di cavallo.
Infine ci sono i lavori dell’ampio ciclo "La natura è una faccenda ottusa", titolo ispirato alla concezione della natura del filosofo Alfred N. Whitehead, che vedeva nella vita della natura una proliferazione priva di finalità, un processo insensato della materia.
Alighiero Boetti, Mappa, 1971-73, ricamo, cm 200 x 360, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma
In questo ciclo Boetti mette in scena, con una tecnica mista fatta di colori spruzzati e collage di sagome, un fantastico, decorativo ma anche inquietante bestiario: una proliferazione di silhouette di animali di ogni genere come rane, tigri, gazzelle, cetacei e, nel caso delle opere in mostra, stambecchi, tori e scimmie.
L’ultima opera è un autoritratto in scultura del 1993 dal titolo "Mi fuma il cervello", un’opera ironica, una fusione in bronzo, all'apparenza una scultura da giardino, una fontana, che raffigura l’artista intento a rinfrescarsi le idee nella sua mente con un getto d’acqua.
Alighiero Boetti, Tutto, 1988, ricamo, cm 110 x 270
Nel 1993 le condizioni di salute dell'artista subiscono un brutto decadimento, tanto da spingerlo a sottoporsi ad esami specialistici, che purtroppo evidenzieranno la presenza di una forma tumorale di complicata cura.
Con le ultime energie, Boetti si dedicherà senza sosta a completare le sue opere finali, ma dovrà arrendersi al fato comune nel febbraio del 1994, spegnendosi nella sua casa romana.
Alighiero Boetti: il genio del pop concettuale
Alighiero Boetti è stato forse l'artista italiano (assieme a Mario Schifano) ad essersi non solo avvicinato ai canoni della nuova corrente popolare d'oltreoceano, ma averli ampiamente superati e, con cognizione di causa del poi, stravolti.
Il suo lavoro pioneristico sullo studio profondo che lega l'ideazione dalla realizzazione tecnica (mera esecuzione) dell'opera è di fondamentale importanza, e permette una chiave di lettura completa dei profondi mutamenti socio-culturali degli anni '60-'70, che hanno cambiato non solo il panorama artistico mondiale, ma anche la quotidianità della gente comune.
Nel post-industrialismo, Boetti è tornato alla concezione fondamentale dell'evoluzione, cioè il migliorarsi in un contesto aggressivo e violento, cercando la sopravvivenza partendo da strumenti poveri (o volutamente impoveriti).
C'è molto di 'popolare' nella sua arte, ma è un gusto condiviso che non fa il verso a quello americano, bensì crea una nuova linea tutta italiana, profondamente filosofica e con un rigoroso uso dell'armonia di numeri, parole, composizioni matematiche.
Artista di enorme intelligenza, Boetti capì perfettamente l'indirizzo dell'arte contemporanea ben prima di molti suoi colleghi del periodo: non è un caso che la sua produzione di mappe e di arazzi sia stata pensata e realizzata in una sorta di grande catena di montaggio multiculturale e multinazionale, anticipando di molti anni quel fenomeno di riscoperta etnica che si paleserà sostanzialmente sulla falsariga delle opere del maestro torinese.