Cos'è un virus? Tra vita e non-vita
- Virus, al confine della vita
- L’origine dei virus
- Le testimonianze storiche dei virus
- A caccia di virus: da van Leeuwenhoek al microscopio elettronico
- Com’è fatto un virus
- La risposta immunitaria
- La mutazione dei virus
- La vaccinazione: l’arma di eradicazione di massa per i virus
- I virus più tremendi
- Vaiolo
- Poliomielite
- Febbre emorragica Ebola
- Influenza
- Dengue
- Febbre gialla
- HIV e Sindrome dell’Immunodeficienza Acquisita
- Rabbia
- Gli uomini che hanno combattuto l’invisibile
- Ippocrate di Coo
- Temisone di Laodicea
- Antoni van Leeuwenhoek
- Edward Jenner
- Martinus Willem Beijerinck
- Louis Pasteur
- Robert Koch
- Adelchi Negri
- Karl Landsteiner
- Ernst Ruska e Max Knoll
- Jonas Salk
- Albert Bruce Sabin
- Renato Dulbecco
- Robert Gallo, Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier
- Carlo Urbani
- Ti aiuto a proteggere la vita
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L’epidemia del SARS-Cov-2, che provoca la sindrome chiamata COVID-19 ha sconquassato le società, le economie e, addirittura, le abitudini sociali di pressoché tutti i paesi del mondo, causando una delle più gravi emergenze sanitarie, unita ad una crisi economiche ben peggiore di quelle generate dai periodici giochi finanziari.
Pare impossibile che un organismo così piccolo possa provocare una catastrofe su scala planetaria, ma in realtà le epidemie infettive sono una costante molto frequente nella storia umana, al pari della guerra.
Tutti noi ormai conosciamo la parola ‘Coronavirus’, ma da cosa è derivata, esattamente?
E perché un virus si chiama proprio ‘virus’?
Ancora, cos’è esattamente un agente virale?
A molte domande ora, grazie al progredire della scienza e della ricerca, sappiamo dare una risposta, ma non è stato sempre così.
La lunghissima battaglia dell’uomo contro i virus solo recentemente ha potuto essere giocata ad ‘armi (più o meno) pari’, e quest’articolo potrà aiutarti a capire bene la difficoltà non solo di scoprire ciò che non si vede, ma… Anche solo ad immaginarlo!
Buona lettura!
Troppo semplice per poter essere, troppo complesso per non essere.
Virus, al confine della vita
Per secoli, filosofi, scienziati, medici, biologi, naturisti e botanici vari hanno dibattuto sul termine esatto di ‘vita’, e su cosa, esattamente, si possa chiamare ‘essere vivente’.
La situazione non è migliorata con la scoperta dei microorganismi, sul finire del 1600: anzi, la certezza che esistono una quantità enorme di creature microscopiche, eppur ‘vive’ anche se dalla struttura estremamente semplice, ha creato ancora più confusione nel trovare una definizione soddisfacente, che racchiudesse tutte le forme di vita.
La definizione modernamente accertata è che un essere, per definirsi ‘vivente’, deve avere un ciclo vitale preciso: deve nascere, deve potersi riprodurre, deve adattarsi all’ambiente circostante e deve subire il processo dell’evoluzione.
A livello più tecnico, è accettata la definizione generale di composti del carbonio che, oltre alle leggi della fisica, reagiscono anche ad altri determinati processi, dettati da una matrice genetica (DNA).
Fino alla scoperta dei virus, si pensava che qualsiasi essere vivente, per poter dimostrare un ciclo vitale, dovesse essere composto almeno da una cellula (organismo monocellulare), ovverosia dal ‘mattone fondamentale’ che risulta necessario per riprodursi, nutrirsi, evolversi e… Anche morire (la fine biologica, per quanto strano possa sembrare, è necessaria per concludere il ciclo vitale).
Il virus invece, è un bel problema: non è composto neppure da una cellula ‘completa’, e manca di strutture apposite per la riproduzione autonoma.
In una sorta di ‘parassitismo estremo’, è un microbo che non può riprodursi, né tantomeno avere un ciclo vitale completo, senza infettare e predare un corpo ospite.
Anzi, per essere più precisi: le cellule di un corpo ospite.
Questa sua natura può essere vista sia come un’esasperata sintetizzazione della vita oppure, come alcuni pensano, come una estremamente complicata forma molecolare, che sfrutta la ‘vita’ ma che non ne fa realmente parte.
Come la si voglia vedere, i risultati delle infezioni virali non cambiano: considerato ‘vivo’ o no, un virus è sempre un parassita, che preda l’energia degli altri esseri viventi per sussistere e garantire la prosecuzione della propria ‘specie’.
L’origine dei virus
Sin dalla loro scoperta, i virus sono stati oggetto di dibattito non solo sulla loro natura (considerati viventi oppure no), ma anche – e a volte, soprattutto – della loro origine.
Al contrario di altri esseri viventi, batteri inclusi, i virus non si fossilizzano, e pertanto è estremamente complicato studiarne la storia passata.
Tuttavia, datosi che spesso l’infezione virale lascia delle tracce nelle cellule ospiti e che queste, a loro volta, lasciano tracce del loro DNA, è possibile a volte usare questa correlazione genetica per ottenere interessanti dati.
Attualmente, ci sono tre linee di pensiero sull’esatta origine dei virus, e tutte e tre sono egualmente probabili (alcune, non escludono le altre).
I virus potrebbero essere semplicemente delle cellule di natura parassitaria molto antiche che, nel corso del tempo, avrebbero perso delle strutture ritenute non essenziali, divenendo dei pararassiti obbligati (teoria regressiva).
Un’altra teoria vuole che essi siano invece del materiale genetico, DNA o RNA, ‘sfuggito’ da alcune cellule e poi, ancora non si ipotizza bene come, sia riuscito a sintetizzare un ‘guscio’ (il capside), divenendo quindi un micro-organismo infettivo di altre cellule (teoria cellulare).
Infine, la teoria della coevoluzione slega quasi totalmente l’origine biologica dei virus, definendoli delle complesse molecole originate parallelamente alla nascita delle prime cellule, da esse dipendenti ma di natura non biologica.
Anche in questo caso, qualsiasi sia l’origine esatta dei virus, la loro natura predatoria e parassitaria rimane intatta, così come i loro effetti sugli organismi biologici da cui sono, giocoforza, sempre dipendenti.
Le testimonianze storiche dei virus
I virus appestano l’umanità da sempre, come flagellano anche tutte le altre forme di vita (batteri compresi).
Assieme a parassiti e batteri, hanno creato le più tremende epidemie della storia, uccidendo un numero non calcolabile di uomini, e menomandone o storpiandone tanti altri.
Le pandemie (grandi epidemie su scala mondiale) sono spesso opera di virus, e ne abbiamo traccia certa e documentata già dal V secolo a.C.
Ippocrate, il più famoso dei medici antichi e considerato ‘padre della medicina’, già 2400 anni fa descriveva con precisione sintomi dei numerosi virus della famiglia dell’Orthomyxoviridae, che da millenni flagellano l’umanità con l’influenza.
Abbiamo notizie certe anche della diffusione del vaiolo a partire dal II millennio a.C.: la mummia del famoso faraone Ramses V presenta infatti chiari segni delle caratteristiche pustole causate dall’infezione del Variola virus.
La famosa mummia del faraone Ramses V, straordinariamente conservata con i segni del vaiolo
Sempre grazie alle molte testimonianze scritte degli egizi, sia letterarie che artistiche, sappiamo anche che il terribile Poliovirus, responsabile di un grandissimo numero di esseri umani menomati ed offesi, flagellava già l’antico Egitto già nel 3700 a.C.
È molto probabile che la poliomielite fosse endemica a Roma e nelle sue province già prima dell’epoca imperiale, mentre nel 165 sempre Roma fu quasi decimata da una pandemia di vaiolo nella ben più che trentennale ‘peste antonina’.
Nel corso della storia, le peggiori epidemie virali, capaci di uccidere milioni di persone in pochissimo tempo, sono state quasi tutte delle zoonosi, ovverosia infezioni di virus passati dagli animali all’uomo.
Ne è un esempio il morbillo, micidiale malattia che ancor oggi appesta tutto il mondo, che ha avuto molto probabilmente origine dal virus della peste bovina, adattatosi all’uomo verso il 500 d.C.
Alcuni virus sono endemici di un determinato luogo della Terra, molti altri vengono portati in giro dai contagiati, dagli insetti vettori o, come ad esempio comune con i virus del genere Orthomyxoviridae, anche con gli uccelli.
L’HIV è un buon esempio di altro virus in origine animale, migrato poi all'uomo: il virus che, se non trattato, può far degenerare nella Sindrome dell’Immunodeficienza Acquisita (AIDS), in origine era un virus animale, adattatosi all’uomo e proveniente dai primati.
Anche la COVID-19 e l’agente patogeno che la genera, il SARS-CoV-2, è stata causata da un processo di zoonosi, si presume da serpenti o pipistrelli.
Che dire poi della rabbia, l'implacabile malattia che causa l'infiammazione del cervello, il cui virus appesta indisintamente tutti gli animali a sangue caldo (uomo incluso)?
La stretta relazione uomo-animali, e le frequenti pandemie causate dallo scambio dei virus, è una costante nella storia delle pandemie.
Anche il virus della Dengue, la tremenda ‘febbre spaccaossa’ che infetta tra i 50 e i 100 milioni di persone ogni anno, è mediata dalle zanzare del genere Aedes, sulla falsariga della malaria e della sua zanzara Anopheles.
Insomma, nei molti corsi e ricorsi storici umani, le infezioni virali e le pandemie da esse causate sono straordinariamente regolari e costanti, coi relativi, spesso enormi, costi sociali ed economici.
A caccia di virus: da van Leeuwenhoek al microscopio elettronico
Nel 1661, l’inventore ed ottico olandese Antoni van Leeuwenhoek, appassionato di lenti e ardente ‘fan’ del lavoro di Galileo Galilei, con un suo microscopio auto-costruito in grado di ingrandire ad oltre 200X, scoprì che non solo che la teoria dell’italiano Marcello Malpighi sulla circolazione sanguigna era corretta, ma anche che essa poteva avvenire per via di certi, minuscoli ‘esserini’ a forma di ‘orecchietta’, che sembravano dotati di vita propria.
Queste prime osservazioni nel mondo dell’incredibilmente piccolo lo convinsero che, aumentando la potenza d’ingrandimento delle sue lenti, si sarebbe potuto scoprire qualche altra cosa interessante.
Quindici anni dopo, nel 1676, van Leeuwenhoek osservò per la prima volta degli stranissimi ‘animaletti’ (parole sue), presenti un po’ ovunque in ogni campione di liquido che analizzava, anche nell’acqua dolce.
Tali ‘animaletti’, di cui lo stesso olandese non capiva la natura, sembravano esseri viventi a tutti gli effetti: si muovevano, interagivano tra di loro, erano di svariate forme e potevano vivere in differenti colture.
I microscopi dello scienziato, seppur auto-prodotti, erano di eccezionale qualità: ingrandivano talmente bene che l’olandese poté disegnare tavole disegnate molto accurate degli ‘animaletti’ che, di volta in volta, individuava.
Van Leeuwenhoek ancora non lo sapeva, ma aveva appena dato origine alla microbiologia, la scienza che studia ed analizza il mondo degli esseri viventi in formato ‘micro’.
Gli studi di van Leeuwenhoek saranno continuati con incredibile efficacia dal più famoso dei biologi, il francese Louis Pasteur che, tra le tante memorabili scoperte, chiarì definitivamente che le infezioni erano causate incontrovertibilmente dall’attacco dei batteri, gli ‘animaletti’ scoperti dall’ottico olandese.
Fu un passo importante nella scienza e nella medicina, poiché, per la prima volta, fu provato che le malattie infettive non nascevano endemicamente, né nelle persone, né negli animali e neppure nelle piante, ma erano la risposta dell’organismo ad un attacco esterno da parte di organismi ancora più piccoli.
Il mosaico del tabacco, patologia di origine virale
Nel 1898, il botanico olandese Martinus Willem Beijerinck, studiando la malattia del mosaico del tabacco, che ai tempi causava autentici disastri economici nelle piantagioni olandesi, fece una scoperta destinata a cambiare per sempre tutta la microbiologia.
Filtrando del liquido infetto con dei filtri alla porcellana (in grado di trattenere i batteri), Beijerinck si accorse che la sostanza era ancora capace di propagare l’infezione alle piante sane.
Ciò non sarebbe dovuto accadere, poiché i filtri avrebbero dovuto essere efficaci nel trattenere i batteri, ipotizzati come agenti infettivi.
Beijerinck ipotizzò quindi che l’infezione fosse opera di una tossina, ma anche questa ipotesi risultò fallace: il liquido continuava ad essere altamente infettivo anche se diluito e passato da pianta a pianta, cosa che dimostrava in maniera evidente che l’agente infettivo doveva per forza replicarsi nell’ospite.
Beijerinck capì di trovarsi di fronte ad un qualcosa di ancora più piccolo di un batterio, invisibile con i microscopi della sua epoca: forse un protozoo piccolissimo, o forse un particolare batterio dalla forma liquida.
Accortosi che, con i mezzi a disposizione, non avrebbe mai potuto far luce sul mistero, ribattezzò quell’incognita come ‘virus’ (veleno, in latino), e la catalogò come agente patogeno del mosaico del tabacco.
I corpi di Negri, citoplasmi causati dall'infezione del virus della rabbia
Nel 1903, l’anatomo-patologo italiano Adelchi Negri, seguendo gli studi di Pasteur, riuscì a dimostrare che l’agente infettivo della rabbia (da lui erroneamente ipotizzato in un microscopico protozoo) dava origine a grossi citoplasmi nelle cellule nervose degli infetti.
Negli anni successivi molti scienziati e medici, ormai certi della presenza di entità ancor più piccole dei batteri, si prodigarono per dimostrare la loro esistenza, secondo il metodo scientifico.
La svolta vi fu però all’inizio degli anni ’30, dopo l’invenzione del microscopio elettronico, capace finalmente di catturare visivamente le immagini dei virus.
Venne confermato così che il virus è un organismo sub-cellulare, mediamente grande un centesimo di un batterio, che necessita di un’altra cellula ospite per replicarsi e completare così il suo ciclo vitale.
Com’è fatto un virus
Un virus è un organismo sub-microscopico veramente atipico, che assomiglia molto più ad una complessa molecola, piuttosto che ad un essere vivente.
Non possono essere classificati come ‘organismi unicellulari’ (per esempio, i protozoi) poiché non sono composti da una cellula completa, ma solo delle parti di essa, potremmo dire in termini non scientifici ‘il minimo indispensabile’.
Non hanno mitocondri, non hanno nucleo, non riescono a sintetizzare da soli altri loro simili: sono in pratica solo DNA (quindi, codice genetico puro) o RNA, protetti da una struttura polimerica chiamata capside.
A sua volta, il capside può essere protetto da un involucro (membrana lipidica, detta peplos), che il virus spesso usa per ‘agganciarsi’ alla cellula che vuole predare ed infettare.
A volte, dalla membrana sporgono delle strutture proteiche superficiali, essenziali al virus per legarsi con la cellula ospite: è in caso dei Coronavirus, chiamati così perché presentano delle curiose proteine a mo’ di ‘corona’ sparse per tutta la membrana.
Il virus SARS-Cov-2, che ha causato nel 2020 la pandemia nota come COVID-19 (o 'polmonite di Wuhan') è per l'appunto un Coronavirus, così come è un Coronavirus anche il comune Rinovirus, che causa il raffreddore comune.
Esistono virus di molte dimensioni, ma sono tutti comunque veramente piccoli: solitamente, dai 18 ai 300 nanometri (un nanometro=un miliardesimo di metro!).
Per dare un’idea: un globulo rosso, che è già una cellula molto grande, misura mediamente 1,9 micrometri (un micrometro=un milionesimo di metro).
Anche rispetto ai batteri, un virus è quindi veramente piccolo!
Il ‘core’ del virus è il suo genoma, dove sono contenute le istruzioni per la sua replicazione.
Può essere un piccolo frammento di DNA oppure RNA, che il virus inocula direttamente nel nucleo delle cellule che infesta, obbligandole così a riprodurre il suo codice.
Quando il virus penetra nell’ospite, le glicoproteine della membrana (o, nei virus sprovvisti, direttamente il capside) ‘agganciano’ chimicamente la cellula ospite, penetrandola e dando inizio alla replicazione forzata.
Lo sforzo della cellula, a cui il virus ha sostituito il DNA originario con il proprio, la porta alla lisi, ossia alla morte per rottura o fiaccamento.
Dalla cellula morta, escono sovente tutti i virus replicati (gemmazione), che possono infettare così altre cellule, dando origine ad una patologia virale.
Esistono virus di varie forme, ma essenzialmente possono essere di tipo sferoide oppure elicoidale.
La composizione del peplos è fondamentale, nell’infezione virale: infatti, i virus sono progettati geneticamente per ‘riconoscere’ le cellule da infettare proprio grazie al legame delle specifiche proteine della membrana (un po’ come una serratura di sicurezza che può essere aperta solo da una – ed una sola – chiave).
Ecco quindi che la configurazione spaziale del virus, compresa la forma tipica del suo involucro, è caratteristica del tipo di infezione che il microbo causerà.
La risposta immunitaria
Il sistema immunitario di un organismo eucariota (come ad esempio i mammiferi) è un complesso apparato chimico e cellulare, che ha il compito di difendere l’organismo stesso da qualsiasi tipo di minaccia esterna, sia chimica che biologica.
È in pratica tutto il ‘sistema di difesa’ del nostro organismo, che vigila costantemente, in ogni secondo e senza tregua, alla ricerca di corpi estranei da individuare e distruggere.
Si basa principalmente sull’azione di speciali cellule chiamate leucociti (globuli bianchi), che funzionano esattamente come implacabili ‘poliziotti’, addetti alla sicurezza di tutto il nostro corpo.
Vigilano costantemente, ed attaccano tutto ciò che riconoscono fin dalla nostra nascita (immunità innata) o che, cosa importantissima, sono stati addestrati a riconoscere (immunità acquisita).
Esistono globuli bianchi per tutte le esigenze di ‘pulizia e repressione’, a seconda dell’attacco esterno che il corpo deve affrontare.
L’importanza fondamentale del nostro sistema immunitario è la capacità di riconoscere gli elementi aggressivi esterni, differenziandoli invece dalle cellule e dalle strutture del corpo.
Una capacità importantissima del nostro sistema immunitario, in tal senso, è quella di poter ‘imparare’ a riconoscere le minacce dopo che sono state affrontate una prima volta.
Ogni aggressione, sia batterica che virale, alla lunga fa produrre al corpo dei globuli bianchi specifici (linfociti), adattati esclusivamente per colpire il nemico.
Quando ciò accade, il corpo sviluppa una memoria per la minaccia affrontata, che viene immagazzinata principalmente nei linfonodi.
Nel caso che la minaccia ricompaia, in futuro, il sistema immunitario potrà quindi riprodurre immediatamente i linfociti adatti, smorzandola sul nascere.
I linfociti (in azzurro) misti a globuli rossi (in rosso)
Quando un virus penetra nel nostro corpo una prima volta, il sistema immunitario si attiva lentamente, poiché in un primo momento non riconosce la minaccia.
Il virus quindi ha tutto il tempo di attaccare le cellule, replicarsi ed iniziare l’infezione incontrollata, prima che il sistema immunitario si accorga che qualcosa non va.
Questo causa la morte di molte cellule infettate, e l’inizio delle patologie, con sintomi specifici a seconda del tipo di cellula che viene attaccato.
L’attacco dei globuli bianchi sarà inizialmente poco efficace, poiché essi non conosceranno bene il virus, e ci vorrà quindi del tempo prima che il corpo produca linfociti specializzati, molto più efficaci, in grado di eradicare la minaccia.
Alla lunga, praticamente tutte le infezioni virali vengono soppresse dal sistema immunitario, che acquisisce quindi la memoria immunitaria del virus: nel caso di una nuova infezione, all’agente patogeno non verrà dato il tempo neppure di provare ad iniziare la replicazione, poiché verrà subito identificato ed aggredito.
Il soggetto quindi acquisisce l’immunità a vita per quel tipo di virus.
Gli implacabili 'poliziotti' del nostro corpo, i linfociti
Solo pochi virus conosciuti (ad esempio, l’HIV) non vengono mai eradicati dal corpo, e infettano l’ospite costantemente, anche in presenza di anticorpi specifici.
Questo perché sono dei virus eccezionalmente veloci nella replicazione e molto subdoli, in grado di mimetizzarsi e mutare costantemente, non lasciando quindi tempo al sistema immunitario di produrre linfociti adeguati a eradicare l’infezione.
Altri virus, come quello della rabbia, se non trattati sono mortali nel 100% dei casi.
La mutazione dei virus
Quando un virus attacca una specifica cellula, il suo capside si rompe e fuoriesce il genoma (DNA o RNA), che prenderà il controllo della cellula stessa, sfruttando la sua struttura (e i materiali chimici necessari) per produrre altre copie del parassita.
Tuttavia, questa replicazione non è quasi mai ‘pulita’: infatti i virus replicati hanno sempre qualcosa in comune, a livello genetico, con la cellula ospite.
Può sembrare strano, ma questo fatto non è negativo per il virus, anzi: è molto probabilmente voluto, in quanto permette al microbo di evolversi anche senza riproduzione autonoma, mescolando il proprio codice genetico con quello dell’ospite.
Molto furbo davvero: il massimo risultato col minimo sforzo!
Un linfocita T attaccato dal virus dell'HIV
Questa mutazione è la chiave di volta che fa sopravvivere il virus, e ne permette la replicazione anche ad altre specie, magari originariamente non previste come ospiti.
È il caso, ad esempio, del già citato Morbillovirus (originariamente predatore dei bovini), oppure del ceppo H1N1 suino, che nel 2009 si trasmise all’uomo causando l’influenza suina.
O, rimanendo in tempi più drammaticamente recenti, del SARS-Cov-2, il Coronavirus che ha causato la pandemia COVID-19, presumibilmente partito come parassita dei rettili o dei pipistrelli.
Ecco perché il virus è, evoluzionisticamente parlando, una forma di ‘vita-non vita’ estremamente vincente: non è più forte e non è più intelligente dei suoi ospiti, semplicemente si adatta alle situazioni prima e meglio di tutti.
E chi si adatta per primo e meglio, generalmente sopravvive sempre.
La vaccinazione: l’arma di eradicazione di massa per i virus
Ad inizio XIX secolo, la situazione europea medico-sanitaria era decisamente preoccupante: la chirurgia aveva compiuto una decisa regressione, mentre la medicina, seppur conscia dell’esistenza dei microorganismi, non aveva nessun tipo di arma per contrastarli.
Il vaiolo, spaventoso morbo causato dal Variola virus, appestava tutto il continente da secoli: si stima che la malattia ne accoppasse almeno 400 000 l’anno nella sola Europa, mentre molti altri sopravvivevano sì, ma con lo scotto di rimanere sfigurati a vita dalle orribili cicatrici delle pustole.
Nel 1796, durante l’ennesima epidemia di vaiolo, il medico inglese di campagna Edward Jenner, studiando un po’ i comportamenti delle giovani mungitrici delle fattorie di Berkeley, si accorse che esse sviluppavano una forma molto più leggera della patologia, con poche e ben poco vistose pustole limitate alla zona delle mani, da cui guarivano presto e senza grossi problemi.
Jenner, benché medico di provincia, era al corrente della pratica della variolizzazione, con cui, nel XVIII secolo, i medici tentavano di prevenire il vaiolo.
La pratica consisteva nell’inoculare, in un soggetto sano, del materiale prelevato dalle pustole dei pazienti affetti da una forma lieve di vaiolo (vaiola minor), nel tentativo (sommario, ma comunque concettualmente corretto) di immunizzare il ricevente contro i ben più pericolosi Variola vera e Vaiola hemorragica, quasi sempre mortali.
Ovviamente, essendo una pratica che era, in effetti, un vero e proprio contagio con un virus aggressivo ed attivo, era molto pericolosa: spesso infatti il malcapitato sviluppava una forma violenta di vaiolo, lasciandoci le penne.
Jenner intuì che il vaiolo dei bovini era molto simile al Vaiola minor umano, segno evidente che il microbo infettante doveva essere molto simile, e comunque molto probabilmente interscambiabile tra vacche e uomini.
Dopo avere ragionato sul problema e dopo un po’ di esperimenti, Jenner ebbe l’idea di prelevare del materiale infetto dalla pustola della mano di una mungitrice affetta da vaiolo bovino e, con quello, provvedere alla variolizzazione di un bambino di otto anni.
Il bambino sviluppò una leggerissima forma di vaiolo, che comunque non causò effetti né cicatrici e da cui guarì molto presto.
Jenner allora, a riprova della sua idea, inoculò al bambino del siero proveniente dalle pustole di un malato di vaiolo umano, ma il bambino non si ammalò.
La sua idea era quindi giusta: era stata ottenuta l’immunità al vaiolo umano grazie all’uso del vaiolo bovino.
Era nata la prima ‘vaccinazione’ (termine derivato dalle vacche) della storia, e per la prima volta l’uomo era riuscito a stimolare il proprio sistema immunitario senza particolari complicanze, ottenendo in ricompensa l’immunità per un virus.
Quasi due secoli dopo, esattamente secondo le previsioni di un timido e mite medico di campagna inglese, il virus del vaiolo umano sarà eradicato dal mondo, proprio grazie ad una massiccia campagna di vaccinazione di massa.
La vaccinazione eseguita da Jenner non è concettualmente differente dalle tante vaccinazioni disponibili ai nostri giorni.
Il principio anzi è identico, seppur ottenuto con mezzi molto più sofisticati, sicuri ed efficaci: viene individuato un certo virus verso il quale si vuole ottenere l’immunità, viene opportunamente ‘modificato’ (inattivato o ‘ucciso’, sebbene un virus non sia una propriamente una forma di vita) e viene inoculato nel corpo, affinché il nostro sistema immunitario possa riconoscerlo, attaccarlo e creare i giusti anticorpi necessari.
Grazie alla memoria immunitaria, tali anticorpi bloccheranno qualsiasi intrusione futura di quello stesso tipo di virus, garantendo quindi l’immunità.
Per mezzo delle vaccinazioni di massa, orribili malattie come il già citato vaiolo, la poliomielite, il morbillo (solo a titolo di esempio) sono state o direttamente eradicate, o sono in via di eradicazione.
Milioni e milioni di vite sono state salvate e vengono costantemente salvate, aumentando la speranza di vita degli uomini e risparmiandogli le orrende pandemie del passato.
Se ora il mondo non conosce più i visi deturpati dalle cicatrici delle pustole, oppure non vede più bambini deformati e perennemente invalidati dalla poliomielite, è esclusivamente grazie alle vaccinazioni di massa.
I virus più tremendi
Da quando ne è stata accertata l’esistenza, sono stati scoperti oltre 5000 specie di virus, tutte universalmente racchiuse del più grande dominio degli Acyota.
Ancora più numerosi dei batteri, i virus appestano qualsiasi forma di vita, e si sospetta dunque che siano l’entità biologica (o molecolare, a seconda di come li si voglia classificare, se ‘vivi o no’) più numerosa sul pianeta.
Ammorbano anche i batteri, sono responsabili di morie eccezionali degli animali e, alcuni di essi, sono responsabili delle più tremende pandemie della storia umana.
La lunga guerra degli esseri umani contro questi killer silenziosi ed invisibili è antica quanto la prima apparizione del primo ominide sul pianeta, e solo recentemente, grazie alla scienza, si è potuto iniziare a controreplicare all’offensiva, grazie alle vaccinazioni e alle terapie antivirali.
Ecco qui una lista dei più tremendi virus esistenti, oppure esistiti, che hanno causato autentiche disgrazie nel corso della storia.
Ah, una nota da sottolineare.
Nella lista che segue, ci saranno molti virus zoonotici, ovverosia di origine animale, poi mutati ed adattati all'uomo.
Il perché di ciò è abbastanza semplice: anche l'uomo è un animale, ed è un organismo molto complesso, con tanti tipi di cellule.
I virus attaccano le cellule per cui sono stati programmati attraverso dei ricettori chimici, solitamente presenti sul loro involucro.
Tali ricettori riescono a 'capire', chimicamente parlando, quali cellule attaccare e penetrare.
Molte cellule umane, essendo l'uomo un animale, sono estremamente simili a quelle di altri animali, e viceversa.
Ecco che, specie nei casi di stretto contatto animale-uomo, magari accompagnato da bassi livelli d'igiene, i ricettori di alcuni virus animali possono aggredire cellule umane della stessa tipologia, poiché le trovano tutto sommato similari e compatibili con quelle dell'ospite originario.
Ciò ha causato, nel corso della storia, orribili pandemie su scala mondiale.
Tali pandemie si ripresentano ciclicamente, come la storia recente del COVID-19 purtroppo insegna.
Vaiolo
Causata dal Variola virus, è stata una tremenda patologia prevalentemente dermatologica, che affligge gli infetti con micidiali pustole su tutto il corpo che, una volta guarite, lasciano orribili e profonde cicatrici.
Sappiamo che appestava gli uomini già nel II millennio a.C.: abbiamo testimonianze biologiche di mummie egizie con segni del tipico rash pustoloso causato dal virus.
Ha causato enormi disgrazie in tutti i popoli e i paesi che il virus ha visitato, arrivando fin quasi a sterminare persino il potentissimo Impero Romano.
Il vaiolo è stato totalmente eradicato dal mondo grazie all'intuizione di Edward Jenner, e l'inizio delle vaccinazioni
I morti che ha causato il vaiolo sono difficilmente quantificabili, ma sicuramente si aggirano sull’ordine di centinaia di milioni nel corso di tutta la storia.
Basti pensare che fino alla prima metà del 1900 ammazzava qualcosa come 400.000-500.000 persone l’anno nella sola Europa.
Il vaiolo è stata una delle micidiali patologie portate in America dagli europei, che ha contribuito in modo sostanziale alla decimazione di decine di milioni di indigeni americani.
Sul finire del 1700, Edoardo Jenner migliorò l’operazione di variolizzazione, procedendo con successo alla prima vaccinazione della storia, che iniziò la lunga lotta all’eradicazione della malattia.
Nel 1979, dopo una gigantesca campagna di vaccinazione su scala mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò il Variola virus eradicato dal pianeta.
Poliomielite
Orribile malattia causata dal Poliovirus, un tremendo agente virale che ama colpire tutto il tratto gastrointestinale ma che, in un numero non indifferente di casi, si dirama attraverso il sistema nervoso e colpisce le cellule neurali motorie.
Questo causa ai poveri infetti devastanti paralisi, localizzate o diffuse, quasi sempre concentrate agli arti inferiori, che si storpiano rendendo i soggetti permanentemente invalidi.
Subdolo ed estremamente infettivo, il virus colpisce senza distinzione di sesso o di età, ma adora attaccare in particolar modo i sistemi immunitari non ancora maturi, come quelli dei bambini.
Per millenni, la poliomielite ha storpiato milioni e milioni di bambini, ed abbiamo tracce certe della sua esistenza già in epoca egizia.
Grazie ad Albert Sabin e la sua facile ed indolore vaccinazione, la poliomielite è stata quasi del tutto eradicata dal mondo
Grazie al grande lavoro di Jonas Salk e, soprattutto, Albert Sabin, nel dopoguerra si è potuto sviluppare più di un efficace vaccino contro il virus, che ha portato la malattia ad essere quasi totalmente debellata dal mondo.
Al momento, uno dei tre ceppi principali del virus è stato totalmente eradicato, e gli unici due paesi del mondo dove sono ancora presenti focolai del virus sono Afghanistan e Pakistan.
Tuttavia, si presume e si spera che entro pochi anni anche queste ultime due nazioni siano bonificate dal tremendo virus, che grazie ai dottori Salk e Sabin ora è sulla via dell'estinzione.
Febbre emorragica Ebola
Spaventosa febbre emorragica causata dall’Ebolavirus, un virus presente in cinque specie, di cui quattro letali per l’essere umano.
È una tipica patologia zoonotica, in quanto il contagio principale per l’uomo avviene attraverso il contatto con i fluidi corporei di animali infetti, principalmente pipistrelli.
Anche scimpanzé e gorilla possono propagare il micidiale virus all’uomo, dopo averlo a loro volta contratto dai pipistrelli.
Una volta contagiato un essere umano, l’Ebolavirus può dare origine a contagio diretto, sempre via fluidi corporali (sperma, urine, saliva, feci, ecc.) sia attraverso contatto epidermico.
Non sembra sia possibile che il virus si propaghi per via area, in quanto, durante ogni epidemia, non è mai stato documentato un contagio secondo tale mezzo.
Il virus dell'Ebola mentre attacca una cellula
Il virus colpisce principalmente il sistema circolatorio, provocando nella metà dei casi emorragie diffuse in tutto il corpo (da cui il nome).
Le perdite ematiche sono, in molti casi, le cause principali della morte del paziente.
Il virus sembra endemico in Zaire e nei paesi dell’Africa occidentale, e dal 1976 (anno della sua scoperta) ha dato origine a svariate epidemie, con qualche migliaio di contagi endemici ogni anno.
Il virus è considerato estremamente pericoloso non tanto per la modalità di trasmissione (necessita di animali vettori specifici del territorio per propagarsi a dovere) quanto piuttosto per la ferocia dei sintomi e per l’alta mortalità.
Fortunatamente, nel 2019 è stato finalmente messo a punto un vaccino molto efficace, in grado di donare l’immunità per tutte le specie dell’Ebolavirus in oltre il 97% dei pazienti inoculati.
Influenza
Virus millenario, della famiglia degli Orthomyxoviridae, suddiviso in sette generi noti, di cui solo tre infettanti l’uomo (Influenzavirus A, B e C).
Appesta l’essere umano dalla notte dei tempi, e con lui anche i suini, i bovini e gli uccelli (alcuni di loro, sono in grado di trasmettere il virus anche all’uomo).
L’Influenzavirus A è quello che causa da sempre tremende pandemie, spesso mortali per milioni di persone: il suo ceppo H1N1 è quello della micidiale Influenza Spagnola del 1918 (circa 100 milioni di morti in sole 24 settimane!), oltre a tante altre devastanti epidemie del passato.
Tutt’ora, sebbene ogni anno vengano approntati vaccini specifici per le mutazioni principali del virus, muoiono ogni anno centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.
Attacca principalmente le cellule dell’apparato respiratorio, e provoca dolori osteomuscolari, febbre, tosse, brividi di freddo e infiammazione delle vie aeree, che sovente espongono l’organismo a sovrainfezioni batteriche.
Un tempo l’influenza (così chiamata perché creduta un’influenza degli astri sul corpo), soprattutto per colpa delle infezioni batteriche opportunistiche, mieteva un numero enorme di morti, con enormi pandemie periodiche (ogni circa 15-20 anni).
Grazie al progressivo aumento della vaccinazione, oltreché dell’uso degli antibiotici per curare le sovrainfezioni batteriche, il tasso di mortalità attuale è molto basso, circa lo 0,2% dei contagiati.
Sufficiente, comunque, a causare centinaia di migliaia di morti ogni anno in tutto il mondo.
L’influenza appesta l’umanità tutta ogni anno, provocando due distinte pandemie annuali, una per ogni polo, solitamente in corrispondenza della stagione fredda.
Ogni anno viene sviluppato un vaccino tarato sui ceppi mutati che, si presume, possano essere i principali responsabili della pandemia annuale.
Dengue
Chiamata confidenzialmente ‘febbre spaccaossa’, soprannome che dovrebbe già darne la portata dei sintomi, la Dengue è causata da un virus a RNA della famiglia delle Flaviviridae, precisamente del genere Flavivirus.
È trasmesso principalmente dalle zanzare del genere Aedes, piuttosto numerose alle latitudini equatoriali o comunque limitrofe all’equatore.
Il virus infetta le ghiandole salivari della zanzara che, esattamente come la malaria, durante la puntura all’uomo lo infetta col germe.
Basta una singola puntura per trasferire un’alta carica virale dall’insetto all’uomo, iniziando così l’infezione.
Il Dengue è un virus conosciuto in cinque sierotipi differenti, tutti infettivi per l’uomo e, cosa importante, ognuno che dona l’immunità a vita esclusivamente per sé.
Ciò vuol dire che un infetto di Dengue con sierotipo DENV-1, una volta guarito, otterrà l’immunità solo per il DENV-1, mentre potrà infettarsi degli altri quattro ceppi.
Fortunatamente, l’80% degli infetti di Dengue sono asintomatici, mentre il 5% contrae la malattia in forma grave.
I tipici sintomi della Dengue sono febbre molto alta (spesso superiore a 40° C), rash cutaneo e, soprattutto, atroci dolori alle ossa e ai muscoli, che hanno appunto fatto guadagnare alla malattia il soprannome di ‘spaccaossa’.
Il decorso della Dengue, nei casi non gravi, è insolitamente rapido, ma in quasi tutti i casi persiste un grande senso di affaticamento del paziente anche dopo la guarigione, che perdura spesso settimane.
I virus della Dengue sono endemici in 110 paesi, e infettano ogni anno fino a 100 milioni di persone, causando fino a 25.000 decessi annui.
I costi sociali della malattia sono alti, soprattutto tenendo in considerazione circa 500 000 persone l’anno che necessitano di ospedalizzazione.
Al momento non è ancora disponibile un vaccino efficace, e dunque la prevenzione delle epidemie si basa soprattutto sulla profilassi e sulla periodica disinfestazione degli habitat naturali della zanzara Aedes.
Febbre gialla
Spaventosa patologia chiamata anche tifo itteroide o ittero tifoide, è causata da un arbovirus mediato, come la Dengue, dalla zanzara Aedes aegypti.
Il virus della febbre gialla viene inoculato all’uomo dalla zanzara durante il suo pasto ematico, e raggiunge in breve tempo i linfonodi dove, grazie al sistema linfatico, raggiunge le cellule del fegato, infettandole.
Febbre, nausea, vomito e dolori muscolari si presentano in tutti i casi sintomatici (circa un 50-40% dei totali), mentre il 15% dei contagiati sviluppa seri danni al fegato, responsabili dell’ittero e da cui il nome della patologia.
Ai danni epatici possono aggiungersi forti dolori addominali e, se è già avvenuta l’emolisi, vomito misto a sangue (il tremendo ‘vomito nero’, altro soprannome con cui è conosciuta la malattia).
Generalmente, il tasso di mortalità è del 3%, ma durante le grandi epidemie può raggiungere fino al 50% degli infetti.
La febbre gialla, per via del suo insetto vettore, è endemica in buona parte dell’Africa centrale e sud America, inclusi alcuni stati del sud degli USA.
È disponibile un vaccino specifico, ormai molto sicuro ed affidabile, in grado di donare l’immunità a vita, ed è consigliato dall’OMS quando si viaggia in tutti i paesi in cui il virus è endemico.
Prima delle bonifiche, le disinfestazioni periodiche e lo sviluppo di un vaccino, la febbre gialla ha letteralmente falcidiato le popolazioni africane e sud americane, e spesso anche quelle degli statunitensi di Alabama, Georgia, Mississipi e Florida.
Tutt’ora, ogni anno il virus della febbre gialla contagia circa 200.000 persone l’anno in tutto il mondo.
HIV e Sindrome dell’Immunodeficienza Acquisita
Un linfocita (in blu) attaccato dal virus dell'HIV (in giallo)
L’HIV (Human Immunodeficiency Virus) è un retrovirus adattatosi all’uomo in tempi abbastanza recenti, si stima verso gli anni ’50 del 1900.
Originato dai primati (e dal virus della SIV), si è trasferito sull’uomo per cause non ancora del tutto chiarite.
È un virus che attacca le cellule con proteina CD4+ (i linfociti T), abbastanza importanti per il nostro sistema immunitario poiché in grado di ‘coordinare’ tutti gli altri anticorpi durante le aggressioni degli agenti estranei.
Questo è abbastanza grave perché, se non trattata, l’infezione alla lunga porta al decadimento l’intero sistema immunitario, causando la Sindrome dell’Immunodeficienza Acquisita (AIDS).
Se, generalmente, una qualsiasi infezione virale provoca una risposta immunitaria che, alla lunga, debella il virus, nel caso dell’HIV questo non succede: il virus, particolarmente subdolo poiché capace di eludere molto bene le difese immunitarie, come tutti i retro virus muta costantemente, impedendo al corpo di espellerlo del tutto.
Tuttavia, grazie ad efficaci terapie antivirali sviluppate nel corso degli anni, è ormai possibile abbassarne talmente tanto la carica virale da renderlo pressoché innocuo, garantendo agli infetti una qualità di vita comparabile ai non infetti.
L’HIV è un virus molto piccolo, che ha bisogno di una grande carica virale per dare inizio all’infezione in tutto il corpo.
Saliva, sudore ed urina contengono quantità di virus trascurabili, troppo basse per poter rappresentare un pericolo di contagio.
Al contrario, se non trattato, un paziente infetto da HIV ha altissime quantità di virus nello sperma, nel liquido vaginale e nel sangue, con cui può contagiare altri esseri umani.
Per questo, la modalità d’infezione più diffusa è il contagio durante il rapporto sessuale.
Anche la trasmissione ematica, ormai pressoché impossibile nei paesi industrializzati per via dei rigidissimi controlli sulle donazioni del sangue, è una modalità che in passato ha causato svariate infezioni.
Per via dell’usanza, abbastanza diffusa (specie in passato) dei tossicodipendenti a scambiarsi siringhe tra di loro durante il loro consumo di eroina, il virus ha letteralmente falcidiato milioni di giovani, in particolar modo negli anni ’80 e ’90.
Non va dimenticata anche la modalità di trasmissione verticale madre-figlio, che flagella ormai da decenni i paesi in via di sviluppo, principalmente africani.
Sin dalla sua scoperta, durante gli anni ’80 del 1900, il virus dell’HIV ha scatenato panico e angoscia nella popolazione di tutto il mondo, mutando in maniera radicale i rapporti sociali, specie quelli delle popolazioni occidentali.
Si stima che in circa 25 anni, il virus abbia colpito ed ucciso almeno 25.000.000 di persone, ma la statistica risente della difficoltà di catalogazione delle morti nei paesi africani, dove spesso i sintomi dell’AIDS conclamata vengono scambiati per altre patologie.
Al momento, lo studio di un vaccino efficace è ancora in corso, ma grazie alla continua informazione e prevenzione, allo screening del sangue delle donazioni, alle nuove terapie antivirali estremamente efficaci (in grado di rendere non più contagiosi gli infetti) l’impatto dell’HIV nei paesi sviluppati si è molto ridotto, mentre continua ad essere fonte di preoccupazione nei paesi endemici africani.
Curiosità non di poco conto: forse per via delle praticamente costanti epidemie di ogni genere di virus, sopportate per secoli, una percentuale non trascurabile dei popoli europei è oggigiorno immune al virus dell'HIV.
La percentuale risulta più alta nei paesi scandinavi (fino al 20% del totale della popolazione), ed è abbastanza alta anche in Italia, dove si attesta attorno al 12,5%.
Si è assodato che in queste persone è presente una mutazione genetica che rende impossibile al virus l'attacco ai linfociti T, molto probabilmente conseguenza della forzata (e rapida) evoluzione patita dai nostri antenati per tentare di sfuggire sia alla peste nera che alle decine di altre epidemie che flagellarono peramentemente il Medioevo.
Rabbia
Micidiale virus del genere Iyssavirus, la cui infezione causa un'acuta e praticamente sempre mortale infiammazione del cervello.
Il virus non fa molta distinzione tra animali e l'uomo, e attacca le cellule di qualsiasi animale a sangue caldo.
Il virus si trasmette con la saliva degli animali infetti, specialmente nel caso di morsi o graffi.
A livello storico, i cani sono gli animali da sempre flagellati dal virus, e di conseguenza anche gli uomini, con i quali i canidi ormai convivono da millenni.
Una volta penetrato nell'organismo tramite il morso dell'animale, il virus si fa lentamente strada attraverso il sistema nervoso periferico fino al cervello, dove ne attacca le cellule e, come scoperto dall'italiano Adelchi Negri, causa delle inclusioni citoplasmatiche che portano l'infettato alla pazzia e poi, subito dopo, alla morte per stress neuromotorio.
Una volta comparsi i primi sintomi, molto tipici (idrofobia, scatti d'ira, ansia, confusione generale, delirio, allucinazioni, ecc.) la morte dell'infetto è quasi sempre certa, e avviene entro pochi giorni.
Caratteristica degli infetti è la perenne bava alla bocca, causata dall'idrofobia, che impedisce di deglutire normalmente e causa spasmi e orrendi dolori al poveraccio anche solo all'idea di bere.
Ciò è dovuto al controllo del virus sulle cellule cerebrali infettate (il meccanismo non è ancora noto), che si assicura così che l'ospite abbia sempre grandi quantità di saliva in bocca, per infettare con più probabilità di successo altri animali tramite il morso.
Il vaccino antirabbico, sperimentato per la prima volta da Louis Pasteur, è un rimedo salva-vita in caso di contatto con morso infetto dal virus della rabbia
Fortunatamente, il periodo d'incubazione del virus è molto lungo, e quindi può essere somministrato, come cura, un vaccino specifico, in grado di far produrre al corpo, per tempo, efficaci anticorpi contro il virus.
Grazie alla vaccinazione, ideata da Louis Pasteur alla fine del 1800, il virus è stato praticamene debellato in Italia e in quasi tutti i paesi sviluppati, rimanendo confinato in poche zone endemiche.
Datosi che il virus della rabbia è uno dei pochi agenti infettivi noti a modificare completamente la psiche degli ospiti, quasi a volerne prendere il controllo, è stato una fonte inesauribile di spunti per tutta una serie di letteratura fantascientifica, come ad esempio le innumerevoli storie di 'zombie', al cinema e nella letteratura.
Gli uomini che hanno combattuto l’invisibile
Se molte patologie virali non sono più un pericolo, oppure sono state enormemente ridimensionate rispetto al passato, è per merito della scienza e della medicina, che nel corso dei secoli è evoluta grazie al costante lavoro di medici, scienziati, biologi, botanici, inventori eccezionali.
Eccone una breve carrellata.
Ippocrate di Coo
Mitico medico greco, considerato il padre della medicina.
Benché ovviamente a corto di conoscenze moderne e scientifiche, grazie a lui sappiamo che il virus dell'influenza flagellava l'umanità già nel 412 a.C., e Ippocrate ne descrisse accuratamente i sintomi durante un'epidemia.
Importantissima sia per la grezza medicina dell'epoca
che per quella attuale, è la concezione della malattia secondo Ippocrate: il greco naturalmente era all'oscuro dei microorganismi, ma già aveva intuito che lo stato di malattia non è attribuibile a cause divine o volontà soprannaturali, bensì ad un disequilibrio interno.
Temisone di Laodicea
Antico medico greco, fondatore di una delle prime scuole di medicina della storia.
Lui e i suoi discepoli studiarono in maniera approfondita la rabbia e, secondo le cronache del famoso suo collega Celio Aureliano, sembrerebbe che sia stato uno dei pochissimi esseri umani a contrarre il virus, e a guarirne.
Antoni van Leeuwenhoek
Commerciante olandese del ‘600 con la passione per l'ottica, nonché inventore di eccezionale abilità che riuscì a costruire i primi, potenti microscopi in grado di identificare gli organismi unicellulari.
Fu il primo essere umano a vedere ad occhio nudo l’invisibile, aprendo la strada alla microbiologia.
Edward Jenner
Medico inglese del XVIII secolo che, dopo aver attentamente osservato l’epidemia del vaiolo bovino, si convinse a migliorare il processo di variolizzazione iniettando con successo il primo ‘vaccino’ della storia.
Con suo esperimento, dimostrò il fondamento dell’immunità acquisita passivamente (caposaldo della vaccinazione), e aprì la strada alla prima, seria, guerra dell’uomo contro i virus.
Grazie al suo lavoro pioneristico, nel 1978 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò il virus del vaiolo umano eradicato dal pianeta Terra.
Martinus Willem Beijerinck
Botanico olandese del XIX secolo che, nel tentativo di scoprire la causa del mosaico del tabacco, intuì per primo che esisteva sicuramente un organismo sub-microscopico, ancora più piccolo dei batteri, da lui ribattezzato ‘virus’ (veleno).
Il suo lavoro diede inizio alla sotto-branca della microbiologia, ovverosia la virologia.
Louis Pasteur
Chimico francese del Secolo dei Lumi, considerato assieme a Koch il padre della moderna microbiologia.
S’interessò totalmente allo studio dei microbi, batteri e muffe specialmente, inventò il processo della pastorizzazione del latte (che prese il suo nome), e isolò per primo il virus della rabbia, sperimentando con successo il primo vaccino anti-rabbico.
Robert Koch
Medico tedesco considerato, assieme all’acerrimo rivale Pasteur, il padre della microbiologia.
Scopritore del batterio della tubercolosi, ideò i famosi quattro postulati che prendono il suo nome, ovverosia i criteri (tutt’ora validi) per stabilire la causa-effetto di un microorganismo e la patologia che da esso scaturisce.
Adelchi Negri
Medico patologo italiano, primo a scoprire e ad identificare i piccolissimi corpuscoli della rabbia, presenti nel cervelletto di animali e persone infette.
Si scoprì così che il virus, da Negri inizialmente identificato come un protozoo, attaccava le cellule del sistema nervoso principale, causando il noto delirio rabbico.
Karl Landsteiner
Biologo austro-americano, scopritore dei gruppi sanguigni ed identificatore del Poliovirus.
Ligio ai postulati di Koch, dimostrò che la polio poteva essere artificialmente inoculata ad alcune scimmie usando del materiale infetto proveniente dal midollo spinale di alcuni bimbi morti del morbo.
Ernst Ruska e Max Knoll
Un’insolita coppia formata da un fisico teorico e un ingegnere elettronico, entrambi tedeschi, che nel 1931 misero a punto il primo prototipo funzionante di microscopio elettronico a scansione.
Grazie alla capacità d’ingrandimento impensabili per un microscopio ottico, fu possibile quindi vedere per la prima volta i sub-cellulari virus.
Jonas Salk
Medico americano che, contemporaneamente ad Albert Sabin, mise a punto il primo vaccino affidabile contro la poliomielite.
Sul finire degli anni ’80 del 1900 tentò, ormai attempato ma ancora eccezionalmente lucido, di produrre un vaccino per l’HIV, ma non riuscì nel suo intento causa prematura dipartita.
Albert Bruce Sabin
Grande medico americano di origine polacca, virologo di eccezionale talento che dedicò tutta la sua vita allo studio della poliomielite, con l’incrollabile desiderio di eradicarla per aiutare tutti i bambini del mondo.
Riuscì nel suo sogno sul finire degli anni ’50 del 1900, quando sintetizzò un vaccino sicuro e indolore, con cui iniziò la grande vaccinazione globale di massa che praticamente mise fine all’incubo del Poliovirus.
Renato Dulbecco
Scienziato italiano vincitore del Nobel per la medicina del 1975, scoprì i retrovirus, una particolare famiglia di virus capaci, cosa ritenuta impossibile ai tempi, di sintetizzare DNA partendo da RNA.
Grazie al suo lavoro, si capì finalmente come alcuni particolari virus (dei retrovirus, appunto) lasciavano tracce del loro RNA nei geni di una cellula: grazie all’enzima della trascrittasi inversa, scoperto da Dulbecco e la sua equipe.
Robert Gallo, Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier
Terna di medici che, con gruppi di lavoro indipendenti, scoprirono ed isolarono nel 1983 il virus dell’HIV.
Oltre ai meriti scientifici (indiscussi) di entrambi i gruppi di lavoro, la vicenda mediatica della scoperta del virus dell’HIV fu abbastanza stucchevole ed eticamente riprovevole, con continue accuse, durate anni, sull’effettiva paternità della scoperta.
Carlo Urbani
Medico italiano che, nel 2003, per primo e a costo della vita, identificò il virus del SARS-Cov, un nuovo Coronavirus che, originato da una zoonosi, si tramutò quasi vent’anni più tardi nel terribile SARS-Cov-2, responsabile della pandemia COVID-19, a sua volta responsabile di una delle più gravi emergenze sanitarie ed economiche dell’era moderna.
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