L'importanza del vestire
- Vestirsi: il bisogno primario dell'uomo
- Perché l'uomo si veste?
- La concia delle pelli
- La filatura e la tessitura
- L'uso del fuso e la produzione di filato
- La seta
- La tintura dei tessuti
- Il colore dei vestiti
- Le fibre chimiche
- L'abbigliamento come costume sociale
- La distinzione delle vesti
- La rivoluzione industriale e l'automazione tessile
Contattami velocemente
per richiedere una valutazione GRATUITA del tuo problema!
La moda passa, lo stile resta.
Vestirsi: il bisogno primario dell'uomo
Nella sua lunga evoluzione, l'Homo Sapiens ha dovuto affrontare enormi sfide per la sopravvivenza, contando principalmente, al contrario di altri animali dotati di efficaci difese naturali, soltanto sulla consapevolezza del bene operato, ovverosia l'intelligenza.
In un eco-sistema violento e per nulla accogliente, i primi ominidi raggruppati nelle prime, rudimentali comunità s'accorsero ben presto che c'erano tre bisogni essenziali da soddisfare, per assicurarsi il proseguimento della vita: mangiare, dormire, coprirsi.
Se uno di questi tre bisogni non è soddisfatto, la sopravvivenza non è possibile.
Avendo perso, nel corso dell'evoluzione, la naturale pelliccia protettiva, l'uomo s'è ingegnato nel costruirsi protezioni artificiali, per resistere alle asperità dell'ambiente circostante.
Perché l'uomo si veste?
La pelle umana ha una percentuale pilifera insufficiente a garantire un adeguato isolamento termico; questo è in parte bilanciato dalla termo-regolazione automatica dell'organismo, ma essa non può fare miracoli: sotto determinati valori di temperatura, il fisico è incapace di trattenere efficientemente il calore, e necessita quindi di supporto esterno.
Non avendo spessa peluria, la pelle umana è anche particolarmente suscettibile agli attacchi dei parassiti (mosche, zanzare, secche, pulci, ecc ecc.), e quindi un qualche genere di copertura si rende necessario anche per proteggersi da questo pericolo.
Nasce quindi il primo concetto di 'vestiario', anche se, millenni or sono, questo termine aveva un significato decisamente differente da quello che conosciamo ora.
Primi capi d'abbigliamento risalgono addirittura al Paleolitico superiore (circa 18000 anni fa), e ritrovamenti di selci e pietre scheggiate, presumibilmente usati come utensili per scuoiare gli animali, lasciano intendere che la pratica del trattamento delle pelli sia antichissima e che abbia accompagnato tutto il percorso evolutivo umano fino al Sapiens.
Al contrario di quello che erroneamente si crede, le pelli animali erano già finemente lavorate fin dall'età della pietra, come dimostra il ritrovamento di Oetzi, la famosissima mummia del Similaun rinvenuta nelle Alpi Venoste nel 1991.
Già allora - e parliamo di circa 5500 anni fa - gli uomini differenziavano notevolmente l'abbigliamento: perizomi, pantaloni, berretto, mantelle e persino calzature imbottite.
La concia delle pelli
Ruolo importante nello sfruttamento delle pelli animali lo si deve all'introduzione della conciatura, ovverosia il procedimento che rende il cuoio resistente all'attacco dei batteri (e quindi imputrescibile).
Anche senza avere nozioni di chimica e biologia, gli uomini primitivi si accorsero ben presto che le pelli degli animali che scuoiavano non duravano in eterno: dopo un certo tempo, cominciavano a decomporsi emanando cattivi odori, fino alla loro disgregazione.
Fu forse per casualità che gli uomini scoprirono la concia: si accorsero che le pelli esposte ai fumi del fuoco, oppure lavate con acqua stagnante in cui erano immerse foglie e rami degli alberi, effettivamente duravano molto, ma molto di più.
Non ci volle molto ad intuire che c'era una correlazione precisa, e che poteva essere usata per prolungare la vita dei pellami.
Cominciò così la lunga tradizione, per davvero millenaria ed antica tanto quanto la storia umana, della concia.
Il presupposto chimico delle prime conce rudimentali degli uomini è più o meno lo stesso che viene usato ai giorni nostri: gli aldeidi, i tannini e la calce viva si legano alle proteine della pelle, formando nuovi composti e prevenendo quindi l'attacco dei batteri, preservando il cuoio che, così trattato, dura moltissimi anni (anche secoli).
È un processo molto lungo, che è rimasto pressoché invariato da secoli, anche se grazie all'introduzione dei bottali (enormi cilindri di lavorazione) la preparazione è potuta passare dall'essere squisitamente artigianale ad industriale.
La concia delle pelli è stata, assieme all'introduzione dei primi attrezzi e la costruzione dei primi utensili, una delle più importanti invenzioni umane: migliorò enormemente le condizioni di vita degli uomini, e fece partire tutto il processo di lavorazione dei primi indumenti, che poi diverrà , nel corso dei millenni, l'attuale mercato dell'abbigliamento.
La filatura e la tessitura
Alla fine dell'età della pietra, precisamente nel neolitico (nel 5000 a.C. circa) cominciarono a comparire i primi semplici telai, usati per la lavorazione dei capi in lino oppure altre fibre, sempre di origine vegetale.
Le comunità preistoriche si accorsero difatti che mentre i pellami erano di difficile approggiovamento ed ancor più difficile lavorazione, le fibre come il cotone oppure il già citato lino erano disponibili in abbondanza, e di molto più facile reperibilità : filamenti molto sottili potevano essere annodati tra di loro, in modo da formare un intreccio molto resistente, e di dimensioni variabili in base all'esigenza.
L'uso del fuso e la produzione di filato
Per ottenere un filo quanto più omogeneo possibile dalle fibre vegetali è necessario un fuso, ovvero un particolare strumentoche permette di torcere le fibre annodandole a mano, creado quindi il filato.
Anche dei primi fusi, sappiamo per certo della loro presenza nel neolitico, e questo conferma dunque anche l'inizio della lavorazione tessile da parte dell'uomo.
La filatura è un processo particolarmente lungo, e dev'essere eseguito con perizia e costanza, per ottenere un filo quanto più possibile pulito ed omogeneo; questa grande richiesta di tempo a disposizione fece sì che, sin dall'inizio, la filatura rientrasse nelle attività delle donne che, per motivi logistici, erano preposte a difendere e curare il focolare durante l'assenza degli uomini, impegnati nella caccia prima, e nell'agricoltura e nella pastorizia poi.
Grazie alla filatura, è possibile ottenere rotoli di filato, che possono poi essere intrecciati per mezzo del telaio, e tessere quindi un panno, che poi può essere tagliato, cucito e lavorato in pressoché ogni forma e modello, costruendo quindi una veste.
L'uso di panni al posto delle semplici pelli è considerato da molti una svolta nell'evoluzione antropologica umana al pari addirittura della scrittura.
La seta
Menzione a parte la merita la seta, ovvero la fibra proteica animale prodotta dai lepidotteri oppure dai ragni.
È un filamento molto sottile, incredibilmente elastico ed estremamente resistente che, proprio come le fibre vegetali, può essere tessuto in panno.
Ha pregevoli qualità e caratteristiche estetiche, quali: estrema morbidezza e piacevolezza al tatto, leggerezza, lucentezza e, cosa non di certo ultima, non irrita la pelle, neppure dei soggetti più sensibili.
Viene estratta dai bachi, i 'Bombyx mori', chiamati per l'appunto 'bachi da seta'.
Tale insetto, che si nutre esclusivamente di foglie di gelso in grandissima quantità , produce il filamento setoso per mezzo di due ghiandole, e con esso ricopre tutto il proprio corpo nel bozzolo, in attesa di diventare una falena.
I cinesi, già nel 3000 a.C. scoprirono che è possibile recuperare il filamento setoso direttamente dai bozzoli, iniziando quindi la bachicoltura.
Tale attività sarà conservata gelosamente dagli imperatori della Cina per secoli, e la seta diverrà una merce di scambio preziosissima (e costosissima), arrivando fino in Europa, dove già l'Impero Romano l'apprezzava e l'acquistava.
Verrà introdotta la produzione in Europa solo nel 550 d.C. grazie ai bizantini, si dice dai monaci dell'imperatore Giustiniano, che trafugarono le uova dei bachi da seta nascondendole alcune canne, e portandole a Costantinopoli.
L'Europa, e soprattutto l'Italia, diventerà dal medioevo in poi una vera e propria potenza produttiva della seta, con città come Palermo, Messina e Catanzaro particolarmente rinomate per la qualità e la purezza dei filati.
La produzione di seta italiana rimarrà in gran spolvero fino alla metà del XIX secolo, quando l'industrializzazione ed il progressivo abbandono agricolo renderanno i costi di produzione insostenibili.
Attualmente la maggior parte della seta viene prodotta principalmente nel sud-est asiatico, ed il processo è stato semi-industrializzato, permettendo quindi un'enorme produzione ed abbassando sensibilmente il costo finale.
La tintura dei tessuti
Originariamente, i capi di tessuto non erano colorati, ma la loro colorazione finale variava moltissimo a seconda della fibra utilizzata, dalla filatura (con più o meno impurità ) e dalla tessitura finale, che potevano rendere una specifica veste di tonalità differente da un'altra eguale, realizzata magari nello stesso laboratorio artigiano.
Solitamente le colorazioni andavano dal bianco sporco al marrone chiaro, e spesso trama ed ordito erano effettuati con filati differenti, dando quindi non uniformità al panno finale.
Dal 2100 a.C., i mercanti Fenici cominciarono a commerciare i primi tessuti colorati in color porpora, ottenuti immergendo il filato in un impasto composto da porporina, un impasto organico derivato dalla triturazione del 'Bolinus brandaris', un mollusco appartenente alla famiglia dei muricidi.
Tale processo permetteva ai bravissimi artigiani Fenici di colorare i panni di lana (ma poi anche seta e lino) in pressoché tutte le sfumature del rosso; il colore intensissimo e brillante che si otteneva, difficile da realizzare anche oggigiorno con pigmenti artificiali, era estremamente apprezzato nel mercato, ed anche estremamente costoso. Talmente costoso che solo le famiglie più abbienti potevano permettersi le stoffe colorate di porpora, e solitamente tali famiglie erano quelle reali, nobili oppure comunque di personaggi di altissimo livello societario.
Fu forse per questo diciamo primitivo 'status symbol', appannaggio veramente di pochi, che il colore rosso fu associato al potere, e difatti Roma, divenuta nel corso dei secoli superpotenza su tutto il Mediterraneo, lo associò al suo 'vexillum', ovverosia la bandiera, oltreché alle tuniche e ai mantelli degli imperatori e degli alti generali.
Tale usanza fu talmente forte ed estesa che arrivò anche nell'estremo oriente, dove i due imperi principali, quello del Sole del Giappone e quello Celeste della Cina, adottarono anch'essi tale tradizione, e difatti anche in quei paesi il colore rosso è tutt'ora associato alla vittoria, all'eroismo e, in senso generale, al trionfo.
Nel corso dei secoli, le tecniche di tintura dei tessuti si sono via via raffinate, e con la sintesi dei pigmenti, uniti all'efficacia dei nuovi mordenti prodotti in laboratorio, ormai è possibile colorare pressoché qualsiasi tessuto.
Occorre triturare circa 12.000 esemplari di Bolinus brandaris per ricavare solamente 1,5g di porpora, e per questo motivo ne sono richieste enormi quantità anche per una minima produzione.
I Fenici si spinsero anche oltre le Colonne d'Ercole, nel tentativo di cercare sempre nuove colonie di murici, ed arrivarono persino nelle isole Azzorre.
Fu il grande naturalista romano Plinio il Vecchio a descrivere per primo l'anatomia delle porpore, in maniera eccezionalmente minuziosa ed accurata, nel suo celebre trattato "Naturalis Historiae".
Il pigmento della porpora è fortemente colorante: ne bastano pochissime gocce per tingere permanentemente le stoffe di una veste, e la gradazione di rosso che può essere ottenuta varia a seconda della preparazione del triturato della secrezione dei molluschi.
Il panno tinto nella porpora naturale non scolorisce facilmente, ed è incredibilmente resistente ai lavaggi.
Per via dell'altissimo numero di murici necessari per produrre pigmento sufficiente a colorare anche una sola tunica, il costo dei panni colorati in porpora era fuori dalla portata della gente del popolo; per questo i panni rossi erano accessibili solo ad esponenti di spicco delle società dell'epoca (religiosi, re, nobili vari, generali, ecc ecc.) oppure da ricchi mercanti o famiglie nobiliari.
Tale caratteristica d'esclusività è ancora riscontrabile ai nostri giorni, ed il rosso è tutt'ora il colore associato alla vittoria, al comando e, in generale, al potere: si pensi ad esempio alle toghe degli alti magistrati, agli sfondi degli stemmi nobiliari delle monarchie ancora presenti nel mondo, agli abiti talari dei cardinali della Chiesa Cattolica e via discorrendo.
Il colore dei vestiti
In colore di un dato vestiario non è solamente un fatto puramente estetico: oltre alle componenti squisitamente antropologiche (come il già citato color porpora, simbolo di potere), la colorazione dei capi s'è dimostrata anche particolarmente importante in ambito logistico, oppure ambientale.
Nei paesi quasi sempre perennemente assolati, come quelli mediterranei, la tintura dei tessuti con colori tenui, riflettenti quanto più possibile la luce, è sempre stata considerata di primaria importanza.
Le tecniche di tintura sono tantissime, e possono essere usati moltissimi procedimenti e coloranti, ma una generica tinta ha comunque sempre bisogno di almeno tre elementi: un panno (o filo) da tingere, un colorante, cioè il pigmento (naturale o di sintesi) che darà il colore finale al tessuto ed un mordente, ovverosia un composto chimico in grado di attaccarsi al colorante e fissarlo in maniera permanente sul panno o filo.
Le fibre chimiche
Per millenni, l'essere umano ha utilizzato, nella produzione delle proprie vesti, materiali naturali, ottenuti da animali (le pelli, la seta e la lana) oppure vegetali (le fibre come lino, cotone, iuta, ecc. ecc.).
A partire dal 1930, l'industria chimica si sviluppò sufficientemente da riuscire a sintetizzare nuovi materiali, originariamente non presenti in natura: si affacciarono sul mondo le fibre
sintetiche e le fibre artificiali.
Spesso confuse tra di loro, fibre sintetiche e fibre artificiali sono entrambe ottenute in laboratorio, ma la differenza sta nella base di partenza: le fibre sintetiche partono da una sostanza naturale poi successivamente modificata, mentre quelle artificiali partono da una sostanza ricavata direttamente da un composto già prodotto in laboratorio.
Nel corso di quasi un secolo, sono state prodotte innumerevole fibre chimiche, per pressoché tutti gli utilizzi e gli scopi, e molte ne vengono sintentizzate anche ai giorni nostri.
Sempre smentendo un luogo comune abbastanza diffusto, le fibre chimiche non vanno a sostituire le fibre naturali, e non costano neppure meno (industrialmente) delle stesse: servono invece come complemento di lino, lana, cotone et similia, migliorando spesso la consistenza generale del capo che costituiscono, e dotandolo di particolari caratteristiche uniche.
Sono esempi di fibre artificiali: l'acetato, il lyocel, il modal, il rayon e il cupro.
Sono esempi di fibre sintetiche: l'acrilico, il kevlar (famoso per i giubbotti anti-proiettile), il poliestere, il nylon e il Gore-Tex.
L'abbigliamento come costume sociale
Con l'inizio della produzione tessile e l'avanzamento progressivo della tecnologia, l'abbigliamento da bisogno primario è via via diventato anche un fenomeno di costume, in grado di rispecchiare e far riconoscere una tribù, una comunità , una società in senso lato (sia semplice che complessa).
Ha quindi acquisito nel corso dei millenni sempre più un valore antropologico, a volte scostandosi in maniera decisa dalla sua funzione principale (ovverosia, coprire il corpo dell'uomo).
Anche l'appartenenza ad un generico gruppo (sia politico, che religioso oppure militare) viene spesso associata ad un determinato modo di vestirsi, e questo comincia ad accadere agli albori della civilizzazione, direttamente nel mondo antico.
La distinzione delle vesti
Con la grandissima espansione di Roma e del suo impero, viene a crearsi anche la prima netta distinzione tra gli indumenti prettamente notturni oppure diurni, e anche l'abbigliamento diviso per classi sociali diviene di primaria: ad esempio, la toga poteva essere indossata solo da chi era cittadino romano.
Con l'espansione della filiera tessile, anche il commercio dei tessuti diventò sempre più preponderante: famosa, ad esempio, è la cosidetta 'via della seta', il lunghissimo percorso che permetteva gli scambi commerciali tra Roma e la Cina.
Via via che i rapporti commerciali miglioravano, col progredire delle tecnologie, anche gli scambi culturali, e quindi di costumi, progredivano con essi.
L'Europa ci mise un bel po' di secoli per riorganizzarsi dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, e nel periodo di riordino - che avrebbe portato poi alla nascita degli stati che tutt'ora conosciamo - le genti mischiarono usi ed abitudini romane ai costumi dei barbari, con qualche influenza anche da Bisanzio, il cui impero prosperava.
Verso la fine del 1400 in tutta Europa vi fu un considerevole abbassamento delle temperature medie (chiamato da molti, impropriamente, 'la piccola era glaciale'), e questo fatto generò un significativo cambio dell'abbigliamento dei popoli, soprattutto quelli mediterranei, che cominciarono ad usare con più frequenza capi fino ad allora ben poco usati, come ad esempio i soprabiti di lana.
Con la scoperta delle Americhe e la colonizzazione spagnola, olandese, francese ed inglese, l'Europa esportò - spesso e volentieri con la forza - gli abbigliamenti di guerra, da lavoro e da vita quotidiana nei territori del Nuovo Mondo, dando il via - in maniera molto indiretta - al primo processo di 'globalizzazione' della storia umana.
Le divisioni sui vari abbigliamenti delle società e delle classi sociali che le componevano però non sparirono mai del tutto: rimasero in essere in molti paesi per secoli, a volte fino a tempi recentissimi.
La rivoluzione industriale e l'automazione tessile
Sul finire del XVIII secolo, la tecnologia e le scoperte scientifiche aumentarono abbastanza da permettere ad alcuni stati unitari d'Europa, già socialmente molto compatti e che avevano acquistito nel corso degli anni una considerevole potenza bellica ed economica, di cominciare a sviluppare un primo sistema di produzione industriale, abbandonando quindi ciò che per secoli era stata l'unico sistema conosciuto di produzione, ovverosia quello agricolo-artigianale-commerciale.
L'utilizzo delle macchine e del sistema di produzione automatizzata ha stravolto completamente il settore tessile, che più di tutti ha giovato dall'introduzione del nuovo meccanismo produttivo.
Grazie all'introduzione dei primi filatoi automatici e della spoletta volante, inventata dall'inglese John Kay, la produzione di panni e stoffe aumentò di moltissimo il numero abbassando notevolente costi e tempi di realizzo.
Già all'inizio del 1900, erano stati prodotti telai completamente automatizzati, ed il costo dei panni era sceso enormemente rispetto a solo pochi decenni prima, anche grazie al più snello ed agevole mercato internazionale, che con l'utilizzo dei piroscafi meccanizzati rendeva più rapido lo scambio delle merci da continente a continente; mancava però un ultimo tassello per automatizzare completamente la produzione delle vesti, e questo venne ideato solo dopo il secondo conflitto mondiale: le macchine da taglio automatiche.
Vestiti sempre come se dovessi incontrare il tuo peggior nemico.
Tali artefatti hanno permesso, finalmente dopo millenni, di produrre vestiti di qualsiasi foggia, colore, taglia e modello
in grandissima quantità ed a bassissimo costo, dando la possibilità a gran parte della popolazione mondiale di soddisfare il bisogno primario di coprirsi con relativamente poche risorse economiche.
Con l'abbondanza di vestiti a basso costo, che permettevano cose prima mai anche solo immaginate dagli esseri umani di ceto popolare (tipo, avere un guardaroba), cominciò anche il concetto di 'moda' per come lo intendiamo noi ora: il vestire, rimasto sempre una necessità , diventò anche - e forse, soprattutto - un piacere estetico, da accordare a periodi della vita e al consenso sociale.
Tutte cose effettivamente sempre presenti nelle società di ogni tempo, ma di difficile realizzo prima dell'automatizzazione totale della produzione tessile.
Con la grandissima offerta industriale, tuttavia, le sartorie artigianali non scomparvero, anzi, si modificarono adattandosi alle nuove esigenze del mercato, specializzandosi in personalizzazioni e riparazioni.