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Malvagio e geniale:
Gian Lorenzo Bernini

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Giovan 'Gian' Lorenzo Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre 1598 da Angela Galante, casalinga napoletana, e Pietro Bernini, scultore toscano.

Si può dire che Bernini fu figlio d’arte, perché quando nacque la carriera del padre, artista decisamente manierista, era già ben avviata con commissioni di prestigio alle spalle sia a Napoli che a Roma (si pensi all’Incoronazione di Clemente VIII nella cappella Paolina in Santa Maria Maggiore a Roma).

A partire dal 1606, padre e figlio si trasferirono nella capitale, attratti dall’elezione al soglio pontificio di Paolo V Borghese, il quale aveva riaperto le possibilità di lavoro agli artisti, dopo le magre stagioni vissute col pontefice precedente (Clemente VIII 1592-1605).

Che Roma giunga a produrre un altro Michelangelo.

Fu dunque il padre a introdurlo nel mondo irraggiungibile della committenza pontificia, un mondo che Gian Lorenzo cominciò a frequentare fin da subito soprattutto per quanto riguarda le collezioni d’arte conservate al Vaticano.

Fin da piccolo Bernini fu coinvolto nelle opere paterne, dove partecipava inserendo piccoli particolari.

Si presume che la sua prima scultura sia stata la "Capra Amaltea" datata 1609-1615 ispirata al mondo classico e realizzata con talmente tanta precisone che per molti anni il gruppo marmoreo fu considerata un originale antico.


Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623 circa, olio su tela, cm 38 × 30 cm, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623 circa, olio su tela, cm 38 × 30 cm, Galleria Borghese, Roma

Già dalle prime opere dimostra il suo interesse per lo studio del corpo umano in tutte le sue espressioni come nel "San Sebastiano" del 1617 o il "San Lorenzo", fino alle indagini fisiognomiche ossia l’espressione del volto, rappresentate dalle teste dell’"Anima beata" e l’"Anima dannata" (quest’ultima molto probabilmente un suo ritratto) in cui il marmo si piega all’intensità dell’emozione.

Era come dire che il vero della pittura caravaggesca e la dolcezza della pittura dei Caracci si traducessero finalmente in scultura.

Gian Lorenzo Bernini, La capra Amaltea, ante 1615, marmo, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, La capra Amaltea, ante 1615, marmo, Galleria Borghese, Roma

Quel che colpiva di Gian Lorenzo era il suo sguardo, che aveva 'qualcosa dell’aquila', con la sua combinazione di naso rostrato e ciglio profondo, con occhi che la dicevano lunga sulla sua intelligenza.

Uno sguardo magnetico che egli stesso cattura nel suo autoritratto giovanile, come in quelli successivi (il famoso Bernini effigiato sulla storica banconota da 50.000 Lire per intenderci).

Ma il Bernini non produsse solo autoritratti: si cimentò anche in ritratti di gentiluomini.

Gian Lorenzo Bernini, Anima dannata, 1619, Ambasciata Spagnola presso la Santa Sede, Palazzo di Spagna, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Anima dannata, 1619, Ambasciata Spagnola presso la Santa Sede, Palazzo di Spagna, Roma

Non a caso, tra tutti i meriti nel campo dell’arte, uno dei suoi maggiori è quello di aver rinnovato il genere del busto-ritratto che con lui si animò, arrivando a tradurre col marmo gli effetti di movimento, luce e immediatezza espressiva che la pittura con il colore più facilmente consentiva.

Sì, perché il ritratto era sempre stato considerato un genere minore, e a trionfare nell’arte era naturalmente la pittura di storia; nel caso della scultura il primato spettava al rilievo, e se mai, alla statua.

La sua abilità era così grande che tutta Roma cominciò a chiedergli dei ritratti in scultura, che affidava ai suoi allievi mentre lui concedeva tale beneficio soltanto al Papa.

Gian Lorenzo Bernini, Anima beata, 1619, Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, Palazzo di Spagna, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Anima beata, 1619, Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, Palazzo di Spagna, Roma

Nel 1638 aveva già fissato nel marmo i volti di tre pontefici: Paolo V, Gregorio XV, Urbano VIII, quello di Carlo d’Inghilterra e soprattutto quelli di numerosi cardinali e prelati.

Egli era principalmente uno scultore e considerava la pittura un passatempo, sintetica ed incisiva come un colpo di scalpello.

È infatti questo un grande segreto di Bernini: conferire con poche pennellate la grandiosità della figura, cosa che fa anche nelle caricature, nelle quali con pochi tratti disegna la bonarietà e l’arguzia di Scipione Borghese.

La sua genialità era anche questo: passare da linee sintetiche della pittura e caricatura ai virtuosismi che raggiungeva con la scultura.

Virtuosismi che ritroviamo nei quattro gruppi marmorei scolpiti durante la sua giovinezza, tra il 1618 e il 1625, dove gli assemblaggi delle figure seguono la linea di una spirale.

Voluti da Scipione Borghese per decorare la propria villa, i gruppi rappresentano soggetti mitologici e biblici e sono la sintesi dell’espressività berniniana.

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto come santo guerriero, 1630, olio su tela, cm 67x50, Collezione privata, Milano
Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto come santo guerriero, 1630, olio su tela, cm 67x50, Collezione privata, Milano

In queste opere l’attenzione che Bernini dedica allo spazio in cui le figure sono collocate rappresenta una novità nell’arte, con lo scopo di valorizzare a pieno l’opera in modo da poter suscitare la massima impressione negli occhi dello spettatore; non solo, c’è un ulteriore novità che nella scultura paterna non troviamo: si tratta della prodigiosa capacità di conferire al marmo l’aspetto delle superfici, colori e materiali molto lontani dalla sua natura.

Se prendiamo l'opera "Enea, Anchise e Ascanio" del 1618-1619, vediamo che il marmo diventa pelle liscia o increspata a seconda dell’età dell’uomo, senza tralasciare la psicologia di quelle stesse età.

Accanto a tale destrezza non manca il riferimento all’Incendio di borgo di Raffaello nelle Stanze Vaticane, e a Michelangelo, per la sovrapposizione delle tre figure (come nel Tondo Doni), insieme alla linea serpentinata delle sculture del Giambologna.

Gian Lorenzo Bernini, Papa Urbano VIII, 1632, olio su tela, cm 6 x50, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Papa Urbano VIII, 1632, olio su tela, cm 6 x50, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

A differenza degli scultori manieristi, come appunto il Giambologna, Bernini non accettava le sculture a vedute plurime: in lui le opere con punti di vista plurimi erano assai rare, e di norma venivano realizzate solo quando la loro collocazione gli impediva di controllare il punto di vista dell’osservatore.

Per capire meglio ci può tornare utile il confronto di questo gruppo marmoreo con quello del "Nettuno e Tritone", del 1620: la posizione centrale della statua al centro della vasca permette di avere allo spettatore un punto di vista plurimo, dandogli la possibilità di girare intorno alla statua e attivarne in questo modo il meccanismo cinetico reale.

Per beneficiare al meglio dell’opera bisognava posizionarsi in un unico punto specifico, che permetteva di godere a pieno del senso dinamico del movimento e dell'energia con cui la divinità marina affonda il tridente tra i flutti per calmare una tempesta.

La statua era posta al centro di una grande peschiera situata nel giardino di Villa Montalto a Roma, di proprietà del cardinale Alessandro Peretti.

Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Papa Urbano VIII, marmo, 1632-1633, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Papa Urbano VIII, marmo, 1632-1633, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma

Col "Ratto di Proserpina", del 1621-1622, la struttura colonnare dell’Enea, ormai lontana, lascia spazio a un’esplosione di figure nello spazio con le loro carni generose e le loro braccia lanciate verso l’alto.

Anche qui il punto di vista è unico, e la statua funziona infatti solo se vista di fronte.

Era pensata per esser addossata a una parete davanti ai un giardino: lo spettatore nell’atto di cogliere i fiori si sarebbe immedesimato nel giardino dello stesso mito, interpellato come testimone attraverso il piedistallo della statua che recava inciso i versi:

"O tu che chino al suolo raccogli fiori, alza il tuo sguardo su di me, che vengo rapita nel crudele regno degli inferi."

Con l’ultimo gruppo marmoreo, quello di "Apollo e Dafne", realizzato fra il 1622 e il 1625, il punto di vista torna unico.

La scultura doveva essere posta in una posizione ben precisa all’interno della galleria di Villa Borghese, ossia davanti alla parete e offrirsi alla luce con una determinata incidenza che ne valorizzasse movimento, spazialità e lavorazione del marmo.

Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio fuggono da Troia, 1618-1619, marmo, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio fuggono da Troia, 1618-1619, marmo, Galleria Borghese, Roma

L’antica leggenda narra la storia del dio Apollo che, per via di una freccia scoccata da Cupido, si innamora della ninfa Dafne (il cui nome in greco significa alloro), la quale però non ricambia l’amore e anzi, per sfuggire dal dio invoca l’aiuto della Madre Terra che interviene trasformandola in una pianta di alloro (pianta che diventerà sacra ad Apollo, con essa verranno incoronati i poeti).

La bellezza della scena sta nell’aver colto il momento cruciale: il dio raggiunge Dafne, addirittura riesce a posargli la mano sul ventre, ma la metamorfosi della dea è ormai in atto e le sue mani si stanno trasformando in foglie come i suoi piedi in radici.

Le figure sono riprese dalla statuaria classica a cui Bernini aggiunge un dinamismo concentrato nello slancio che spinge le figure visibilmente in avanti, a formare un arco.

Lo slancio è poi bloccato nella fermezza della statua, così come il mantello del dio che sembra scivolargli via, la gamba sinistra alzata così come il corpo di Dafne inarcato all’indietro e in torsione.

Il realismo è evidente nella precisione con cui Bernini trattava i dettagli e le superfici del marmo che non sembrano più pietra ma corteccia, stoffa, capelli.

Oltre ad aver colto il momento culminante dell’azione, Bernini ha fatto uso di un raffinato dinamismo psicologico delle emozioni che vediamo nei volti dei personaggi, dall’espressione sorpresa e delusa di Apollo al terrore misto all'affanno nel viso di Dafne, con la testa e gli occhi girati e la bocca aperta in un urlo.

Gian Lorenzo Bernini, Nettuno e Tritone, 1620, Victoria and Albert Museum, Londra
Gian Lorenzo Bernini, Nettuno e Tritone, 1620, Victoria and Albert Museum, Londra

Tra il 1623 e il 1625 mentre lavorava per completare la l’"Apollo e Dafne", inizia a lavorare al "David", anch’esso da inserire nella decorazione di Villa Borghese.

Come in tutte le statue che realizza per Villa Borghese egli non vuole rappresentare qualcosa che è ma ciò che sta accadendo proprio davanti a noi, come egli stesso diceva:

"L’arte sta in far che il tutto sia finto e paia vero."

Il pubblico si ritrova quindi coinvolto nella scena, immedesimandosi nei panni di Golia.

Bernini aveva uno spiccato senso teatrale, le sue commedie e il fatto che si improvvisasse attore significa che il ruolo del teatro era pienamente vissuto dall’artista.

A differenza dei suoi predecessori non rappresenta David che ha già decapitato Golia (come in Verrocchio e Donatello) e nemmeno è in attesa dello scontro come in Michelangelo.

L’eroe ebreo è fotografato nel momento in cui sporge la testa e guarda in basso, nel pieno dell’azione mentre ruota il corpo per caricare la fionda, mirando Golia con un terribile sguardo fisso mente si morde il labbro inferiore.

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Prosperina, 1621-1622, marmo, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Prosperina, 1621-1622, marmo, Galleria Borghese, Roma

Bernini non fu solo scultore ma anche architetto, restauratore, urbanista e scenografo, in grado di trasformare la città in un immenso teatro che sintetizzasse al meglio i poteri dominanti della sua epoca: da quelli politici a quelli religiosi (che poi alla fine coincidevano quasi sempre).

Ecco perché in San Pietro in Vaticano abbandona la medievale idea del ciborio (come quello di San Giovanni in Laterano) per trasformarlo in un baldacchino processionale, come quelli portati per la città durante le processioni.

Un baldacchino particolare, perché vede la collaborazione di Gian Lorenzo con il suo diretto antagonista Francesco Borromini: la loro rivalità è determinata da un diverso modo di concepire l’architettura, come vediamo nella realizzazione di Palazzo Barberini.

A Borromini si devono le piccole finestre del terzo piano, laterali al corpo centrale della facciata con una linea molto tormentata e insolita, mentre Bernini prediligeva l’inganno ottico e l’artificio, come nella sistemazione dell’area urbanistica limitrofa completata dalla "Fontana del Tritone" e la "Fontana delle Api", entrambe realizzate per Urbano VIII Barberini, proprietario dello stesso palazzo.

Il pontefice voleva apportare l’acqua dagli acquedotti romani al centro della città, il che significava dare a abbondanza alla Roma dell’epoca, e le due fontane stanno a ricordare il suo benefico contributo agli abitanti del rione.

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, Galleria Borghese, Roma

Nella "Fontana delle Api" su una conchiglia aperta si sono posate delle api araldiche simbolo della famiglia Barberini, mentre nella "Fontana del Tritone", la creatura marina esce dall’acqua nella fontana al centro della piazza per annunciare la gioia del nuovo corso d’acqua.

Seguono la "Barcaccia", la "Fontana del Moro" e la "Fontana dei Fiumi".

La "Barcaccia" fu iniziata nel 1526 e terminata nel 1529: il progetto fu commissionato al padre di Bernini, Pietro, nominato primo architetto dell’Acqua Vergine, a cui partecipa anche Gian Lorenzo.

Ci sono diverse ipotesi sulla scelta della barca: poteva esser dovuta al voler ricordare un’inondazione del Tevere del 1598 che con la piena trascinà una barca fino in piazza, oppure per delle battaglie navali che si svolgevano nel luogo (la cosiddetta naumachia, combattimento navale nell’antica Roma).

La sua particolare posizione al di sotto del piano stradale, è dovuta alla bassa pressione dell’acqua che, non riuscendo a salire, non permetteva la creazione di cascatelle e zampilli.

L’acqua circonda la barca e straripa da essa dando l’idea che stia affondando.

Gian Lorenzo Bernini, David, 1623-1624, marmo, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, David, 1623-1624, marmo, Galleria Borghese, Roma

A decorarla due sculture a forma di sole con volto umano, che gettano acqua verso altrettante conche all'interno dell'imbarcazione, e quattro fori circolari (due per parte) rivolti verso l'esterno, simili a bocche di cannone.

Le sculture a forma di sole fanno riferimento al dio Apollo, al quale il pontefice Urbano VIII si paragonava come protettore delle arti.

Terminano la decorazione la tiara e le api simbolo araldico della famiglia del pontefice, all'estremità esterne della barca, tra le due bocche di cannone.

Sempre su commissione di papa Urbano VIII realizza nel 1624 la sua prima opera pubblica di soggetto religioso, la "Santa Bibiana", nell’omonima chiesa di Santa Bibiana vicino all'odierna Stazione Termini.

Dopo i tanti nudi per la prima volta realizza una figura vestita il cui corpo si rivela sotto la sublime veste illuminata dalla luce naturale.

Gian Lorenzo Bernini, Baldacchino di San Pietro, marmi e bronzo dorato, altezza m 28,7, 1624-1633, Basilica di San Pietro in Vaticano
Gian Lorenzo Bernini, Baldacchino di San Pietro, marmi e bronzo dorato, altezza m 28,7, 1624-1633, Basilica di San Pietro in Vaticano

Nel viso si raccoglie un’espressione intensa, quella di una donna che accetta il martirio consapevole di ciò che le aspetta.

Per la prima volta uno spazio sacro diventa palcoscenico, la santa non è in posa austera come le classiche icone da pregare ma è il personaggio di una narrazione complessa, rappresentata l’attimo prima del martirio mentre si appoggio alla colonna sulla quale sarà flagellata.

La sua storia è narrata sulle pareti della chiesa, per una più completa comprensione e avvicinamento del martirio da parte del fedele che si recava in chiesa.

Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, Facciata di Palazzo Barberini, Roma
Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, Facciata di Palazzo Barberini, Roma

Il pontificato di Urbano VIII si concluse per Bernini con due grandi imprese: quella corale della crociera di San Pietro dove insieme ai suoi allievi realizzò le sture del Longino, Santa Veronica, Sant’Andrea e Sant’Elena; nonché quella della tomba del papa, sempre nella basilica di San Pietro.

Le quattro statue raffigurati nelle nicchie della crociera rappresentano i personaggi della passione di Cristo, ognuno dei quali è legato alla propria reliquia conservata nella nicchia superiore.

Per il legno della croce si scelse Sant’Elena, la madre di Costantino che (secondo la leggenda) ritrovò la croce; la Santa Veronica con il panno sul quale sarebbe stato impresso il volto di Cristo durante la salita al calvario; Sant’Andrea, morto in croce a imitazione di Gesù e infine San Longino, opera del maestro, il soldato romano che aprì il costato con la lancia e riconobbe il messia esclamando, secondo il mito: "Davvero era figlio di Dio costui!"

Gian Lorenzo Benrini, Fontana del Tritone, 1642-1644, Piazza Barberini, Roma
Gian Lorenzo Benrini, Fontana del Tritone, 1642-1644, Piazza Barberini, Roma

Lo stupore è evidente nella posa, le braccia allargate in modo teatrale come a formare una croce lo rendono visibile anche da lontano.

Il marmo è attraversato da profondi solchi e rotondità concepiti per catturare la luce e rifletterla allo spettatore, creando effetti di luminosità vibranti.

A scuotersi è soprattutto la veste, mossa dall’indescrivibile emozione provata da Longino durante la conversione: inserendo la statua in una nicchia si garantiva la visione da un unico punto di vista, permettendo all’artista di esercitarsi nell’unica posizione dominante.

Ultima opera commissionata da Urbano VIII è il sepolcro del pontefice, iniziato nel 1628 e posta all’interno della basilica di San Pietro.

Gian Lorenzo Bernini, Fontana delle Api, 1644, Piazza Barberini, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Fontana delle Api, 1644, Piazza Barberini, Roma

I materiali utilizzati sono marmo, bronzo dorato e legno: le parti scure o in oro fanno riferimento alla morte, quelle bianche alla vita.

Il pontefice siede su un piedistallo sotto il quale compare le due virtù marmoree della Carità che allatta i bambini, e della Giustizia, unite dalla teatrale figura della Morte che con un ossicino incide sulla lapide il nome del papa defunto.

Essa è alata come Clio, la musa della storia, che secondo l’iconografia classica viene sempre raffigurata mentre scrive su un libro.

Dopo la morte di Urbano VIII ci fu un periodo lavorativo particolarmente difficile per Bernini il quale scolpì "Verità", che nei progetti originali sarebbe dovuta essere accompagnata dall’allegoria, mai realizzata, del Tempo, quasi a dimostrare che col tempo il giusto si sarebbe svelato, come dice il motto latino "Veritas filia Temporis" (la Verità è figlia del Tempo).

Proprio l'esuberanza fisica della figura sottolinea il concetto di 'nuda verità'.

Nell’epoca barocca si fa un vastissimo uso di allegorie e Bernini è sempre stato abile nel creare metafore decifrabili anche per un pubblico poco colto.

Gian Lorenzo Bernini, La Barcaccia, 1627-1629, Piazza di Spagna, Roma
Gian Lorenzo Bernini, La Barcaccia, 1627-1629, Piazza di Spagna, Roma

Superato il momento di crisi ricomincia a lavorare, stavolta per il nuovo pontefice Innocenzo X Pamphili per il quale ideò la "Fontana dei Fiumi", centrotavola monumentale di piazza Navona sulla quale si affacciavano i luoghi di potere della famiglia Pamphili.

Fu realizzata tra il 1648 e il 1651 con quattro statue in marmo bianco che rappresentano i quattro principali fiumi mondiali, il Nilo (scolpita con la testa velata perché le sue sorgenti erano allora sconosciute), Gange (regge un lungo remo che suggerisce la navigabilità del fiume), Danubio (mentre indica uno dei due stemmi dei Pamphilj presenti sul monumento come a rappresentare l'autorità religiosa del pontefice sul mondo intero) e Rio della Plata (ha un sacco strapieno di monete d'argento, che simboleggiano il colore argenteo delle acque e l'abbondanza delle ricchezze scoperte nel Nuovo Mondo).

Sopra, un basamento roccioso sul quale è posizionato l’obelisco proveniente dal Circo di Massenzio.

L’obelisco è sormontato da una colomba in bronzo, simbolo di casa Pamphili allo stesso tempo allude allo Spirito Santo e, quindi alla Chiesa, che trionfa sulle quattro parti del mondo.

Al di sotto l’acqua scorre tra le rocce e si raduna nella vasca: vediamo sbucare dalle pietre diversi animali e piante in riferimento al fiume, come un leone esce dalla sua tana (cioè la caverna sotto le rocce) per bere sotto una palma, e infine un cavallo e uno strano serpente.

Interno Basilica di San Pietro in Vaticano, particolare della crociera
Interno Basilica di San Pietro in Vaticano, particolare della crociera

C’è poi un singolare armadillo che molto spesso viene confuso con un coccodrillo, in riferimento al Rio della Plata, e infine un drago e un delfino.

La storia legata alla scelta del Bernini è assai curiosa: Papa Pamphili inizialmente non voleva commissionare l’opera all’artista prediletto dal pontefice precedente, nonché suo antagonista Urbano VIII, ma lo scultore riuscì a conquistare l’approvazione del pontefice mostrandogli il famoso modellino d’argento che la riproduceva.

L’arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia fu l’occasione per abbellire, rettificare e ampliare il tessuto viario creando delle soprese architettoniche lungo le assi principali per volontà questa volta di papa Alessandro VII Chigi.

Così Bernini sistemò la Porta di Piazza del Popolo che serviva a presentare ai pellegrini proveniente dalla via Flaminia l’intera città.

Gian Lorenzo Bernini, San Longino, 1624-1635, Basilica di San Pietro in Vaticano
Gian Lorenzo Bernini, San Longino, 1624-1635, Basilica di San Pietro in Vaticano

Non a caso le spoglie di papa Alessandro VII erano proprio nella limitrofa chiesa di Santa Maria del Popolo, come se a dare a il benvenuto fosse il papa in persona.

Non si può non citare l’importante commissione dell’"Elefantino Obeliscofono", detto popolarmente “pulcino della Minerva” per le sue piccole dimensioni.

Sul basamento della scultura fece scolpire un’iscrizione che spiega la metafora:

«Per sostenere la sapienza ci vuole una mente solida come un elefante»

Riprese poi mano al cantiere di San Pietro dove realizzò il colonnato esterno, progettato come un vero e proprio abbraccio ideale alla cristianità del mondo, la Scala Regia, la statua equestre di Costantino e la Cattedra di San Pietro, meravigliosa macchina teatrale posizionata nell’abside della chiesa, capace di trasformare la luce naturale che filtra dall’esterno in luce spirituale all’interno.

L’unione della pittura, scultura, stucchi e architettura serviva secondo l’artista a creare il 'bel composto', ossia un’opera d’arte che creasse l’illusione teatrale della realtà.

Quelli che oggi chiameremo effetti speciali servivano all’artista per sbalordire il fedele e rafforzare la sua fede in Dio, ed è difatti quello che succede in Santa Maria della Vittoria dove si ripropone il prodigio dell’"Estasi di Santa Teresa d’Avilla", posta all’interno di un tabernacolo che dovrebbe alludere al luogo reale nel quale la santa visse la sua esperienza mistica.

Gian Lorenzo Bernini, La Verità, 1647-1652, Galleria Borghese, Roma
Gian Lorenzo Bernini, La Verità, 1647-1652, Galleria Borghese, Roma

Ai lati della scena i familiari e committenti della famiglia Cornaro assistono alla scena come da un palco.

I personaggi sono in dialogo tra loro e hanno alle loro spalle uno sfondo prospettico che lascia immaginare altri spazi creando l’illusione di superare il limite dello spazio architettonico.

Anche qui è Bernini fa uso di marmi policromi ed i colori hanno significati simbolici.

Una delle sue ultime imprese furono gli angeli per il Ponte Sant’Angelo, insieme poi alla tomba di Alessandro VII Chigi e altre opere minori.

Per realizzare le sculture degli angeli Bernini si fece aiutare dalla sua eccezionalmente produttiva bottega formata da collaboratori fidati con i quali riusciva a far fronte a ogni richiesta e gestire l’immenso affare che era l’arte a Roma nel XVII secolo.

Da questo punto di vista Bernini fu più vicino a Raffaello che a Michelengelo, perché sapeva che la sua bottega era un’importante macchina per la trasformazione di un'idea in enormi fonti di guadagno.

Gli angeli del ponte erano concepiti per rievocare una sorta di Via Crucis dove ogni angelo tiene in mano e offre allo sguardo dei fedeli i segni della passione di Cristo.

Gian Lorenzo Bernini, Fontana dei Fiumi, travertino, porfido e pietra grezza, cm 1508x3017, 1646-1651, Piazza Navona, Roma
Gian Lorenzo Bernini, Fontana dei Fiumi, travertino, porfido e pietra grezza, cm 1508x3017, 1646-1651, Piazza Navona, Roma

Delle dieci statue soltanto l’Angelo col cartiglio e l’Angelo con la corona di spine sarebbero dovuti essere di mano dei maestro, ma furono così belli che il papa Rospigliosi se ne innamorò e li volle spostare nella Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte per proteggerli.

Quando Alessandro VII Chigi era ormai morto da un paio d’anni Bernini completò la sua tomba, inserita all’interno del transetto della basilica di San Pietro: l’opera fu interamente realizzata dai suoi collaboratori, tranne per il progetto che è tipicamente berniniano.

Poiché la tomba era posizionata sopra una porta, per coprire l’architrave sottostante venne inserito un enorme coltre di diaspro rosa sistemandovi sotto la Morte che fa un gesto ambiguo perché non è chiaro se apra o chiuda la tenda.

Particolare Fontana dei Fiumi, Danubio e Rio della Plata
Particolare Fontana dei Fiumi, Danubio e Rio della Plata

Accanto ci sono le statue della Carità prosperosa e della Verità che stringe al seno un sole ormai al tramonto. Dietro, Giustizia e Prudenza.

In cima a un piedistallo Alessandro VII in preghiera si prepara al momento del trapasso.

Mentre nella tomba di Urbano VIII Barberini c’è la Morte che scrive un cartiglio, qui è presente la Verità che viene svelata dalla stessa Morte nel tentativo di toglierle il telo che la copriva.

Nel 1671 l'artista lavora alla Beata Ludovica Albertoni nella chiesa di San Francesco a Ripa.

Come era successo per la Santa Teresa, la beata Ludovica viene colta nel momento drammatico della morte vissuto però come un momento di estasi, cioè di congiunzione al divino.

Particolare Fontana dei Fiumi, Nilo e Gange
Particolare Fontana dei Fiumi, Nilo e Gange

Nel 1680, alla veneranda età di 82 anni, Gian Lorenzo Bernini venne colto da un probabile colpo apoplettico che gli causò la paralisi del braccio destro, paradossalmente lo stesso braccio che per oltre 70 anni aveva prodotto opere di inaudita bellezza.

La sua salute peggiorò nel corso dell'anno, ed il 28 novembre l'artista spirò nella sua casa romana, molto probabilmente per l'ennesima ischemia.

Per tutti gli interventi svolti durante la sua carriera Bernini aveva ormai cambiato il volto della città, e Roma, anche in seguito, sarebbe rimasta fedele al suo maestro.

Considerato il campione del barocco in scultura, Bernini fu realmente il sole della scena artistica romana del XVII secolo: non è un caso infatti che a riconfermare il merito del maestro fu la realizzazione della più celebre fontana romana: la "Fontana di Trevi", iniziata nel 1732, a oltre cinquant’anni dalla morte dello scultore.

La fusione tra zampilli d’acqua, rocce e figure scolpite è chiaramente un'invenzione berniniana, a cui Nicola Salvi s'ispirò palesemente, omaggiando in tal mondo il suo illustre predecessore.

Gian Lorenzo Bernini: la vita in recita di un genio

Gian Lorenzo Bernini

L'impatto dell'opera di Gian Lorenzo Bernini nella storia dell'arte mondiale è enorme: fu non solo un artista veramente a tutto tondo, completo in ogni suo aspetto, ma fu anche uomo con una vivida intelligenza, argutezza e, soprattutto, visione d'insieme eccezionale.

Le sue opere non si limitano meramente a recitare la vita, ma sono esse stesse parte di uno spettacolo molto più grande, che è però possibile apprezzare solamente da uomini per gli uomini: la realtà nel Bernini è perennemente stravolta da questa visione d'interesse esclusivo dell'umanità, in una sorta di enorme girandola cosmopolita che, in buona sostanza, è da sempre la nostra razza.

In ogni opera di Bernini è possibile dunque ammirare questo spettacolo unico, in cui la mera realizzazione tecnica, benché di immenso livello, è solamente una parte del ben più interessante totale.

Il suo lavoro fu talmente grande e di così continuata e duratura fattura che ancor oggi buona parte dell'enorme centro storico di Roma risente dell'intervento del maestro, le cui opere s'ergono, dopo così tanti secoli, sempre prime tra tutte le bellezze che una città così antica e piena d'arte può offrire.

Gian Lorenzo Bernini, oltre che incredibile artista, fu anche un eccezionale uomo d'affari, forse ancor più del già ottimamente dotato (in tal senso) Michelangelo Buonarroti: la sua bottega assomigliava più ad una moderna industria, piuttosto che un laboratorio.

V'erano garzoni specializzati, scultori e pittori professionisti, architetti, mastri carpentieri e muratori qualificati: oguno svolgeva il suo compito con un'incredibile efficacia e invidiabile sincronia, tanto da produrre opere monumentali e decisamente complesse in tempi estremamente contenuti.

Il business artistico della Roma d'inizio '600 fu perfettamente inquadrato e preso al volo dal Bernini, che non solo diventò famoso e ricco, ma fece anche guadagnare i suoi collaboratori ed i suoi dipendenti.

L'artista non era comunque un benefattore spassionato: estremamente preciso ed intransigente sul lavoro, il suo carattere presentava spiccati momenti di prepotenza, sfociata spesso in azioni ben poco edificanti.

Come quando arrivò a pugnalare il fratello Luigi per una donna (già sposata) contesa fra i due, usando poi la sua elevata posizione di grazia presso il Papa per far beffamente condannare il congiunto.

La sua rivalità con il Borromini è diventata leggendaria, ma c'è da dire che tale astio ed attrito fu ben poco imputabile all'architetto svizzero, bensì al solito carattere prepotente dello scultore napoletano: dal Borromini infatti il Bernini apprese praticamente ogni rudimento dell'architettura e dell'ingegneria edile - materia sulla quale non era ben preparato - e usò il suo sapere e la sua arte in ben più di un'occasione, relegandolo al ruolo di mera comparsa quando non più necessario.

L'aneddoto del sabotaggio del cantiere di Sant'Agnese in Agone forse è solo mito, ma di certo l'antipatia del Bernini verso l'architetto da cui aveva imparato potrebbe anche dare un senso di vero alla faccenda.

Carattere a parte, a Gian Lorenzo Bernini dobbiamo la fine della scultura di maniera e l'inizio della scultura moderna: la sua forza espressiva, il suo obbligare lo spettatore a ragionare, a porsi domande e a godere dell'opera attraverso il punto di vista imposto dall'artista, esattamente come una rappresentazione teatrale, sono considerati i punti fondamentali che slegano l'arte plastica del passato da quella attuale, e che demarcano senza dubbio l'arte contemporanea.

Tutto questo, Bernini lo cominciò oltre quattro secoli fa.

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