Dal Game Boy all'iPhone:
storia del mobile gaming
- Gli albori: dalla Waco ai Game & Watch
- Mattel Auto Race
- Gunpei Yokoi e la nascita degli 'schiacciapensieri'
- Microvision
- La rivoluzione del Game Boy
- Atari Lynx
- NEC TurboExpress
- SEGA Game Gear
- Virtual Boy
- SEGA Nomad
- Neo Geo Pocket
- Game Boy Advance
- Nokia N-Gage
- Nintendo DS
- PlayStation Portable
- Apple iPhone e la rivoluzione degli smartphone
- Nintendo 3DS
- Playstation Vita
- Nintendo Switch
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Ai giorni nostri, è facile trovare un passatempo elettronico sempre disponibile: basta sfilare dalla tasca il nostro smartphone, ed abbiamo subito migliaia di videogiochi pronti all'uso, di tutti i tipi e per tutti i gusti.
Siamo talmente abituati all'uso del cellulare come console da gioco che ci sembra strano quando non troviamo il nostro titolo o serie preferita nel relativo store digitale.
Ora certo è tutto molto facile: i nostri iPhone o Galaxy sono molto potenti, e riescono a far girare videogiochi un tempo difficili da gestire anche su workstation atrezzate per il gaming: è la bellezza della 'Legge di Moore', e dell'evoluzione tecnologica.
Anche la facilità con la quale la distribuzione digitale è arrivata a corprie un numero enorme di persone è in effetti frutto di decenni di business delle reti, e di sviluppo dell'e-commerce dell'Internet.
Insomma, tutte conseguenze, tutte contaminazioni necessarie e tutte evoluzioni integrate, partite comunque da molto lontano.
Non molti decenni fa, per i bambini ed i ragazzi degli anni '80, la massima espressione possibile della tecnologia era un pesante scatolo grigio ingordo di pile AA, dallo schermo monocromatico e pressoché inusabile dopo il calar del sole.
Da qualche pixel verdastro, a Unreal Engine: ci siamo persi qualcosa per strada?
No: ed è proprio per questo che c'è questa pagina.
Qui troverete la storia del videogioco elettronico mobile, dai primi 'scacciapensieri' sino ai più moderni tablet e smartphone: una storia per davvero milionaria, partita con giochi da pochissimi KB e divenuti ora il primo mercato dell'intrattenimento elettronico (per numeri e fatturato).
Buona lettura!
La nostra immaginazione resterà sempre più viva se saremo capaci di tenerci affamati e folli.
Gli albori: dalla Waco ai Game & Watch
Il Waco "Tic-Tac-Toe"
Sul finire degli anni '60 del 1900 la produzione industriale di transistor subì un drastico aumento mondiale, dettato essenzialmente dal considerevole abbattimento del costo di produzione dei circuiti.
Con prezzi finalmente accessibili,
l'elettronica cominciò ad uscire dai laboratori, dai centri di ricerca e dalle università per sbarcare nel mercato di consumo, in un processo inarrestabile che l'avrebbe portata, di lì a pochi decenni, a divenire uno dei settori principali di tutto il commercio umano.
Con i costi abbassati, i transistor cominciarono ad essere usati per produrre più o meno qualsiasi componente attivo non solo in informatica, ma anche nella domotica elettrica: un caso noto a tutti è quello dei dispositivi radioriceventi (chiamati comunemente 'la radio'), che con l'uso del triodo solido non solo migliorarono di performance e divennero estremamente più affidabili, ma poterono essere compressi in dimensioni mai viste prima.
Negli anni '70, anche grazie al pioneristico lavoro del padre del microprocessore, l'italiano Federico Faggin, la 'Very Large Scale Integration' permise di produrre CPU sempre più potenti e a prezzi vantaggiosi, aprendo il mercato alla produzione di massa di microchip a basso o bassissimo costo.
Un esempio passato alla storia fu il chip Z80 della Zilog, progettato sempre da Federico Faggin: circuito integrato estremamente versatile, duttile ed adattabile a pressoché qualsiasi esigenza, la sua produzione a prezzi stracciati ne permise l'integrazione massiccia in qualsiasi dispositivo, dai telecomandi elettrici sino ai calcolatori da scrivania.
L'ampia disponibilità di processori a buon prezzo fu basilare anche per il nascente mercato dell'intrattenimento elettronico: i primi videogiochi portatili cominciarono ad uscire all'inizio degli anni '70, ed erano abbastanza differenti dall'idea di 'videogioco' che abbiamo noi ora.
Erano considerati per di più dei passatempo 'schiacciapensieri', quindi la loro meccanica di gioco era basata su schemi molto brevi e ripetitivi: si trattava in molti casi di prove di pura velocità e sincronizzazione, ed il comparto grafico e sonoro lasciava un po' il tempo che trovava.
Non essendo ancora disponibili a prezzi convenienti i pannelli LCD, i primi videogiochi portatili montavano quasi tutti degli energeticamente molto dispendiosi schermi a LED rossi, sovente somigliante a quello delle calcolatrici elettroniche.
Quello che è considerato il primo videogioco elettronico portatile della storia è il famoso Waco "Tic-Tac-Toe" del 1972: in pratica, il gioco del tris (chiamato in Italia anche 'filetto'), adattato in uno scatolo nero pensato per due giocatori.
"Mattel Auto Race" del 1976
Mattel Auto Race
Nel 1976 l'americana Mattel mise in commercio "Mattel Auto Race", un gioco che molti considerano
il vero primo 'handheld device' commercializzato.
Totalmente digitale, senza parti meccaniche in movimento e con software scritto su memoria solida, il videogioco è (o almeno dovrebbe sembrare) una semplicissima corsa di macchine, simulata per mezzo di un piccolo display LED.
Nonostante la poverissima grafica ed un sonoro agghiacciante (in pratica, un buzzer neanche tanto di qualità ), il software risultava molto avanzato per l'epoca: riusciva a capire dove si trovasse posizionata l'ipotetica 'auto' del giocatore, accordando quindi il gioco in tempo reale.
Sul finire degli anni '70, la moda degli 'schiacciapensieri' elettronici iniziò ad invadere il mercato con una quantità enorme di prodotti, molti di natura piuttosto scadente, alcuni interessanti ed alcuni altri invece ottimi: le industrie più attive in tal senso furono proprio la Mattel, la Coleco (madre della console casalinga ColecoVision) e la Tomy.
La qualità generale tuttavia rimase deludente fino all'inizio degli anni '80, quando un giovane ingegnere elettronico giapponese della Nintendo, Gunpei Yokoi, da tempo dirottato dalla casa madre ad ideare e produrre giocattoli, ebbe un'idea destinata a cambiare la sua vita e, di rimando, il mercato dei giochi elettronici portatili dell'epoca.
Gunpei Yokoi, il padre dei "Game & Watch" e del Game Boy
Gunpei Yokoi e la nascita degli 'schiacciapensieri'
Viaggiando sul famoso treno ad alta velocità giapponese Shinkansen, Gunpei notò un 'business man' annoiato che stava passando il tempo schiacciando i tasti della sua calcolatrice elettronica portatile con schermo a cristalli liquidi (LCD, liquid-crystal display).
Gunpei pensò che produrre una linea di giochi ultra-portatili (delle dimensioni appunto di una calcolatrice), basati su schermi LCD e con comandi molto semplici fosse una buona idea.
Nacque così la linea "Game & Watch", che nel 1980 presentò sul mercato il primo titolo in assoluto, "Ball".
Chiamato anche "Toss Up" negli USA, il videogioco era molto innovativo per l'epoca: design ultra-compatto e minimale,
qualità costruttiva superiore alla media, display LCD riflettivo nitido e di ottima risoluzione.
"Octopus", uno dei più famosi Game & Watch
Solo due pulsanti per controllare un giocoliere che muove le mani a sinistra e a destra, tentando di controllare e non far cadere due (o tre) palline.
Due modalità di gioco: Game A e Game B, rispettivamente più facile (due palline) e più difficile (tre palline).
Dopo il primo errore, il gioco finisce.
Come il nome della serie lascia suggerire, il videogame funziona pure da orologio, anche se - stranamente - la CPU non fa distinzione tra AM e PM.
"Mario Bros.", della linea Multi Screen
La semplicità che nulla però toglieva al divertimento, la grafica non più legata al display LED ma ben definita da un molto più risparmioso ed adatto LCD, la compattezza e la possibilità di portarselo appresso veramente in ogni dove per ammazzare il tempo in qualsiasi momento ne decretarono subito un grandissimo successo in Giappone, e poi nel mercato americano.
Il grande riscontro di pubblico fece produrre alla Nintendo una nutrita serie di titoli (in totale 59), suddivisi in dieci sotto-serie: Silver, Gold, Wide Screen, Multi Screen, Tabletop, Panorama, New Wide, Super Color, Micro VS. e Crystal.
Divenuti fenomeno di massa per tutti gli anni '80, saranno prodotti da Nintendo per ben 11 anni, con l'ultimo in assoluto ("Mario the Juggler", remake di "Ball" del 1980) pubblicato nel 1991.
Nel periodo di massima penetrazione sul mercato, i Game & Watch venivano esportati in enorme quantità sia in America che in Europa: si stimano circa cinque milioni di pezzi all'anno negli USA e un altro milione e passa nel Vecchio Continente.
"Donkey Kong", in formato Multi Screen
Con la serie dei "Game & Watch", Nintendo iniziò la prima vera corsa al mercato dei videogiochi mobili, che prima del 1980 nessun produttore di hardware era stato capace di conquistare appieno: la grande N inizierà un vero e proprio monopolio del settore che non si fermerà per decenni, continuando anche ai giorni nostri.
L'onda del successo dei "Game & Watch" e della loro tecnologia agli LCD spinse molti altri produttori, tra i quali la Hasbro, a lanciarsi nel settore invadendo il mercato con una immensa quantità di prodotti cloni di quelli Nintendo, ma di qualità molto, molto inferiore.
Un esempio che molti bambini e ragazzi di fine anni '80 ricordano,
sono i videogiochi della Tiger Electronics, in Italia importati dalla GiG: prodotti in quantità disumane, innondarono il mercato sia europeo che americano, con giochi di qualità mediamente molto bassa, a volte addirittura infima.
Microvision
Il Microvision della MB
Nel 1979 la Milton Bradley Company, meglio conosciuta al grande pubblico col nome di MB, fece uscire sul mercato quella che, a tutti gli effetti, può essere classificata come la prima console portatile della storia, il Microvision.
Abbastanza tozzo nelle dimensioni e con la curiosa caratteristica di non avere una CPU centrale (il microprocessore Intel 8021 era montato direttamente nelle cartucce dei giochi), il dispositivo aveva un improponibile tastiera estremamente difficile da padroneggiare, ma era la prima volta che un gioco elettronico mobile permetteva il cambio del software per mezzo delle cartucce; una caratteristica che le industrie dell'epoca cercavano di ottenere, ma incontrando molte difficoltà .
Inizialmente il Microvision fu un buon successo commerciale:
la Smith Engineerin, la ditta che ne ideò l'architettura, divenne milionaria in poco tempo.
Tuttavia, il videogioco presentava molti problemi strutturali (soprattutto di protezione ESD), ed i giochi prodotti, solo tredici, non ne spinsero la penetrazione nel mercato, per cui la produzione venne progressivamente abbandonata.
Fu comunque
il primo tentativo in assoluto di portare un sistema completo in ambito mobile, e oggigiorno - complice la penuria di pezzi funzionanti rimasti - è un oggetto abbastanza ricercato dai collezionisti del retrogaming.
La rivoluzione del Game Boy
Il primo Game Boy del 1989
Sul finire degli anni '80, Nintendo era diventata una delle maggiori case di produzione sia software che hardware dell'intrattenimento elettronico mondiale: il successo del suo NES e della linea dei suoi videogiochi di spicco l'aveva posta sopra il gradino più alto delle preferenze del mercato, ed aveva quindi una discreta liquidità da investire nella ricerca e nello sviluppo di nuovi segmenti di business.
Dopo l'enorme successo della linea "Game & Watch", il geniale Gunpei Yokoi ideò una console da gioco estremamente portatile, dotata però (novità ) di giochi intercambiabili: era la prima versione del "Game Boy", un dispositivo destinato a diventare una delle console più vendute al mondo.
Dotata di un processore Zilog Z80 ideato da Federico Faggin, la piccola console aveva 8 KB di RAM interna, un display monocromatico LCD riflettivo da 160 X 144 pixel, capace di visualizzare 4 gradi di grigio su sfondo verde, una porta di comunicazione proprietaria per connettere fino a 4 altre console contemporaneamente, uno speaker integrato, un'uscita mini-jack per le cuffie stereofonica.
Il Game Boy Color
Alimentata a 4 batterie AA, la console montava cartucce molto compatte da 256 KB fino a 8 MB, con innesto rapido e semplice ma efficace sistema di protezione per le estrazioni accidentali in corso di gioco.
Alcune cartucce erano dotate di una batteria tampone, per permettere il salvataggio dei giochi senza sistema di password.
La console venne inizialmente distribuita in Europa e negli USA con un gioco incluso, la versione mobile del celebre "Tetris" ideato da Alexey Pajitnov, che subito divenne estremamente popolare, così come divenne estremamente popolare il nuovo dispositivo da gioco.
"Super Mario Land 2 - Six Golden Coins", campione di vendite su Game Boy
Una quantità enorme di titoli prodotti, una grandissima portabilità ed ottima durata energetica (fino a 36 ore di gioco con sole quattro batterie AA)
ne deretarono l'immediato, grandissimo successo: fu prodotta senza soluzione di continuità per oltre 10 anni, e subì svariati restyling e upgrade (come le versioni Game Boy Pocket e Game Boy Color), che la tennero in auge per tutti gli anni '90.
Strepitose le vendite: circa 120 milioni di unità piazzate in circa 14 anni di vita, ne ne fanno una delle console più vendute della storia.
Amatissima dai giovani e dai meno giovani, il piccolo Game Boy ha accompagnato più di una generazione di videogiocatori, permettendo la prima, vera esperienza 'mobile' del genere.
Atari Lynx
L'Atari Lynx
Nel 1987 la Epyx, defunta software house attiva all'epoca nello sviluppo dei giochi specialmente per Commodore 64, sviluppò un dispositivo mobile abbastanza rivoluzionario: dal nome in codice "Handy" era una console da gioco compatta dotata di display LCD a colori da 3,5" a matrice passiva di 160 x 102 px, su cui venne montato un potente microprocessore WDC 65C02.
La console era molto avanzata per il periodo: grazie al collegamento Comlynx poteva mettere in comunicazione fino a 18 giocatori contemporaneamente,
ed il processore riusciva persino a gestire un moderato calcolo pseudo-3D senza gravare troppo sulle performance del sistema (un po' come il Mode 7 del Nintendo SNES, ma più avanzato).
In difficoltà economiche, la Epyx si vide costretta a proporre la vendita in blocco del progetto Handy a diverse società , tra cui Nintendo, SEGA ed Atari.
La spuntò l'ultima, che modificò parte del progetto
adattandone il design e ritoccando qualche componente interno, mettendolo in commercio nel 1989 col nome di "Lynx".
Il dispositivo, benché superiore in tutto al concorrente Game Boy della Nintendo, era sensibilmente più costoso, molto più ingombrante e, soprattutto, energeticamente molto più ingordo: il display retroilluminato, sebbene di alta qualità , consumava una quantità enorme d'energia per via della micro-lampada fluorescente.
Molte delle parti interne della console erano poi incredibilmente vuote: e questo perché il marketing di Atari aveva pensato bene di obbligare i progettisti ad aumentare peso e dimensioni: volevano dare la sensazione di 'corposità ' e 'solidità ', convincendo i compratori che i 149 dollari chiesti per comprare la console erano ben spesi.
Come cambia il marketing nel tempo!
La console fu inizialmente un buon successo al suo lancio negli USA, ma non riuscì a mantenere ritmi di vendita elevati già durante il suo primo anno di commercializzazione: ingombrante, avido di energia e con un parco titoli non certo entusiasmante, il Linx non riuscì a tenere il passo del trita-tutto Game Boy, console a lui ben inferiore ma molto più economica, portatile e, soprattutto, piena di giochi di qualità .
Nel 1991, nel tentativo di rivitalizzare il prodotto, l'Atari progettò un restyling della console chiamato Linx II: molto più compatto, leggero
e risparmioso in termini energetici.
Anche il prezzo fu abbassato, ma tuttavia ciò non bastò a risollevare le sorti della console, che nel 1995 fu dismessa dalla casa madre.
Con senno di poi, l'Atari Linx fu un'eccellente console, iper-potenziata per il suo tempo: poteva competere senza problemi con le console ad 8 bit casalinghe, e (graficamente parlando) aveva soluzioni che neppure le 16 bit riuscivano ad eguagliare.
Fu purtroppo un ottimo esempio di come il marketing, se usato male, può essere totalmente deleterio per un prodotto, tanto da farlo fallire: molte scelte ingegneristiche furono dettate dagli spin-doctor e non scelte dai progettisti, così come la campagna pubblicitaria fu deludente e sottotono, almeno qui in Europa.
Anche la scelta del prezzo di lancio si rivelò fallimentare: troppo alto rispetto alla concorrenza (il Game Boy), peraltro non giustificato da una libreria di titoli seria.
Il supporto delle terze parti fu infatti un elemento di grande sofferenza per il Linx, che ne limitò moltissimo la diffusione: i giochi usciti, seppur di qualità , si contavano sulla punta delle dita, e la loro pubblicazione fu sempre incostante per tutto il tempo di vita della console.
NEC TurboExpress
Il NEC TurboExpress
Nel 1990, la NEC, partner produttore del famoso PC-Engine (conosciuto in occidente come TurboGrafx 16), decise di entrare nel lucroso mondo dei dispositivi da gioco portatili con la versione mobile della sua console da salotto, che un buon successo aveva ottenuto in Giappone ed USA.
Venne quindi prodotto il TurboExpress, un dispositivo mobile con LCD a colori retroilluminato da ben 400×270 px, totalmente compatibile con le cartucce HuCard del PC-Engine.
Abbastanza pesante ed anche fin troppo solido,
per gli occhi era comunque uno spettacolo: una palette di 512 colori, con LCD fluido e ben illuminato.
La buona quantità di giochi per il PC-Engine gli garantiva per di più un'ampia libreria, e nei paesi in cui il TurboGrafx 16 aveva attecchito (ad esempio, gli USA), questo era considerato di importanza critica per il buon successo della commercializzazione.
'Buon successo' che non vi fu mai: il prezzo mostruoso (299 dollari americani al lancio) ne permise l'acquisto solo a pochissimi abbienti, tanto che la console venne presto ribattezzata 'la Rolls Royce delle console portatili'.
Ancora, a complicare la commercializazione vi fu l'annoso problema del consumo energetico: come l'Atari Lynx ed il SEGA Game Gear, suoi diretti concorrenti nella stessa fascia di mercato, il TurboExpress consumava pile in quantità industriale.
Sei batterie AA non garantivano più di tre ore di gioco, rendendo quindi necessario l'acquisto immediato di un caricatore a parete.
Esattamente come per le console Atari e SEGA, questo fu un grosso deterrente alla penetrazione del dispositivo nel mercato.
SEGA Game Gear
Il SEGA Game Gear
Nel 1990, la giapponese SEGA lanciò in patria, con grande profusione di risorse economiche e di pubblicità , la sua prima console portatile, con schermo a colori: il sistema "Game Gear".
Dalle dimensioni abbastanza generose, la console montava un LCD a colori a matrice passiva, retroilluminato di 3,2" (160 x 146 px), ed era gestita da un processore Zilog Z80 a 3,2 MHz, con 16 KB di RAM.
In pratica, era un "Master System" portatile, e difatti moltissimi giochi della sua libreria erano dirette conversioni dei titoli per la console a 8 bit della SEGA.
Addirittura, tramite un adattatore ufficiale (il Master Gear Converter), il Game Gear poteva tranquillamente riprodurre i giochi del Master System, e sempre tramite un altro accessorio venduto separatamente poteva anche tramutarsi in TV portatile.
L'azienda puntò moltissimo sul sistema mobile, ma una serie di problematiche di carattere tecnico e di marketing ne frenarono la diffusione, impedendogli di vincere la guerra col suo diretto rivale, il Game Boy.
Sebbene indubbiamente più potente della console Nintendo, la retroilluminazione della console ed il processore più veloce la rendevano molto più ingorda d'energia: era alimentata da sei batterie AA, che fornivano elettricità per circa 6 ore di gioco.
Molto poco, considerando che il Game Boy, con sole 4 pile, forniva ben 36 ore di gioco continuo.
Come per l'Atari Lynx ed il NEC TurboExpress, anche per il Game Gear la scelta del prezzo si rivelò controproducente: veniva circa 150 dollari americani al lancio, circa 50 dollari di più della console portatile Nintendo, che peraltro offriva già una libreria di titoli considerevole.
Complessivamente la console si comportò più che bene sul mercato: circa 11 milioni di unità piazzate, e molti giochi divenuti col tempo piccoli cult (come ad esempio quelli della saga di Sonic).
Tuttavia, considerate le enormi risorse investite da SEGA nel progetto, il Game Gear è considerato un prodotto fallimentare dal punto di vista del ritorno economico: alla fine dei conti le spese infatti superarono di molto i guadagni, e nel 1997 la casa madre lo ritirò dal mercato.
Non si trattò di una brutta console, anzi: all'epoca, assieme al Lynx era un ottimo dispositivo, ma come per la console di Atari subì l'altissima penetrazione del mercato di Nintendo, e la scarsissima autonomia costrinse quasi tutti i giocatori a dotarsi di
un alimentatore esterno praticamente obbligatorio, a discapito della mobilità .
Virtual Boy
Il Virtual Boy, prima console (non troppo) portatile dotata di stereoscopia 3D
Nel 1995, sull'onda della moda del momento (la realtà virtuale), Gunpei Yokoi spinse i vertici Nintendo a finanziare la progettazione di una macchina da gioco decisamente particolare: un visore stereoscopico capace di proiettare immagini con effetto 3D, per dare l'impressione al giocatore di essere effettivamente 'immerso' nel gioco.
Yokoi non intendeva commercializzare il prodotto in un primo momento: il suo interesse era solamente sviluppare una nuova tecnologia con uno spirito puramente sperimentale, ritenendo la realtà virtuale ancora un settore acerbo, non pronto per il mercato del periodo.
I dirigenti della Nintendo però erano di tutt'altra idea, e costrinsero Yokoi a far divenire il progetto "Virtual Boy"
da puro esperimento un prodotto commerciale.
Il sistema, chiamato internamente VR-32, prevedeva una console incorporata in un visore indossabile dal giocatore, abbastanza pesante in verità ma che poteva anche essere poggiato, grazie ad un supporto, su un tavolo; nel visore, alloggiava un complesso sistema di LED e specchi, che proiettavano immagini in 3D stereoscopiche, con una monocromia rossa.
Il sistema Virtual Boy completo, con stand e joypad
I controlli erano possibili grazie ad un joypad classico, collegato tramite cavo direttamente al Virtual Boy, che forniva anche l'alimentazione della console grazie ad un pacco batterie da sei pile AA.
La commercializzazione
della nuova console cominciò nell'estate del 1995 prima in Giappone e poi in USA, e subito si rivelò estremamente problematica: il Virtual Boy era poco più di un prototipo e, come giustamente intuito da Yokoi, si rivelò totalmente inadatto al pubblico del periodo.
Scomodo, ben poco portatile e di difficilissimo ed astruso utilizzo, la proiezione a LED rossi non solo non dava per nulla la sensazione di 'virtualità ', ma affaticava notevolmente la vista, provocando a volte anche nausea e vertigini.
I giochi prodotti, poi, oltre ad essere di mediocre qualità , non sfruttavano in alcun modo le caratteristiche del visore, ossia la tridimensionalità e la sensazione di profondità : erano per lo più dei porting, neppure troppo riusciti, di titoli già disponibili per NES e Game Boy, per giunta peggiorati nell'esperienza grazie alla grafica monocromatica rossa.
La grafica monocromatica rossa del Virtual Boy era estremamente affaticante per la vista
Vennero prodotti 22 giochi in un anno di commercializzazione (pochissimi), ed il Virtual Boy vendette per davvero una miseria: meno di un milione di unità piazzate.
Un insuccesso totale già di per sé, che se rapportato ai numeri di vendita delle precedenti console Nintendo, diventava davvero umiliante.
Nintendo si discolpò con gli azionisti nel peggiore e meno elegante dei modi possibili: diede tutta la colpa dell'insuccesso a Gunpei Yokoi, e praticamente lo constrinse a dare le dimissioni dall'azienda.
Un'uscita veramente infelice, anche considerando quanto la casa di Mario doveva al lavoro del suo miglior ingegnere.
Comunque sia, il concept primario del Virtual Boy, ovvero la stereoscopia, verrà parzialmente
ripreso con il Nintendo 3DS circa vent'anni dopo, mentre il design del visore e il concetto della virtualità , sebbene a tutt'altri livelli, verrà riproposto da Oculus Rift all'inizio del 2017.
SEGA Nomad
Il SEGA Nomad
Nel 1995, complice il mercato del suo Game Gear che non riusciva a decollare, SEGA decise di usare la base del suo SEGA Mega Jet (un Mega Drive molto compatto, installato a bordo degli aerei di linea di alcune compagnie giapponesi) per creare una nuova console mobile, stavolta totalmente compatibile con lo sterminato parco titoli del Mega Drive (Genesis negli USA e Canada).
Il risultato fu la console SEGA Nomad, ovverosia un vero e proprio Mega Drive portatile, dotato di display a colori da 320 × 224 px.
Era alimentato da 6 batterie AA e, complice la potenza della CPU Motorola 68000 e un display LCD bello, luminoso ma tremendamente avido di risorse energetiche, l'autonomia era ultra-limitata: dalle 2 alle 3 ore di gioco.
Di bello aveva la piena compatibilità con qualsiasi gioco prodotto per il Mega Drive: l'alloggiamento delle cartucce era esattamente quello della versione casalinga della console, e quindi gli utenti potevano immediatamente accedere ad una libreria di centinaia di giochi, prodotti negli anni di fortunata esistenza della console a 16 bit della SEGA.
Il SEGA Nomad ufficialmente rilasciato solo in nord America,
e fu poco o nulla pubblicizzato a dovere: SEGA era quasi totalmente assorbita nel lancio del Saturn, e quindi quasi tutte le risorse per la promozione furono dirottate sulla nuova console a 32 bit, lasciando il Nomad al suo destino.
Una scelta che costerà cara alla SEGA: la mancanza di adeguata campagna pubblicitaria e l'altissimo prezzo di lancio (quasi 180 dollari americani) porterà il progetto al fallimento economico ancor prima di finire il suo primo anno di vita, non uscendo mai dal mercato nordamericano.
Un peccato: il SEGA Nomad fu la prima, vera console portatile a 16 bit della storia, e la sua piena compatibilità con i titoli del Genesis è una caratteristica ancora molto apprezzata e ricercata dagli amatori.
La console aveva delle caratteristiche decisamente avanzate per l'epoca: uscita per collegarla alla TV (facendola diventare un vero e proprio Mega Drive) e addirittura presa per un controller esterno, con attacco compatibile a quello del Genesis.
Neo Geo Pocket
Il Neo Geo Pocket Color
Nel 1998 la SNK, storica software house famosissima negli anni '90 per le grandi saghe dei picchiaduro ad incontri di "King of Fighters", "Samurai Shodown" e "Fatal Fury" decise di proporre sul mercato la sua prima console portatile, il Neo Geo Pocket.
Abbastanza anacronisticamente, la piccolissima console montava un display LCD monocromatico, e si alimentava con solamente due batterie AA, che garantivano oltre 40 ore di gioco.
Vendette pochissimo: poco più di due milioni di pezzi, quasi esclusivamente in Giappone.
Anche i giochi distribuiti furono molto pochi: a malapena nove titoli.
Fu così prodotta, nel 1999, la sua evoluzione, il Neo Geo Pocket Color, dotato di LCD a colori, ma senza retroilluminazione.
La console era dotata di uno stick analogico di altissima qualità , particolarmente azzeccato per i videogiochi di combattimento, che peraltro vennero pubblicati con titoli di eccellente fattura.
Molto economa di riserve energetiche, la console uscì di produzione nel 2001, parallelamente alla bancarotta della SNK.
I titoli pubblicati per il Neo Geo Pocket Color sono pochi, ma d'indubbia valenza: tra tutti, vale la pena ricordare almeno "SNK vs. Capcom: The Match of the Millennium" e "King of Fighters R-2", ottime conversioni portatili dei più famosi giochi usciti sul sistema Neo Geo da salotto ed arcade.
Game Boy Advance
Il Game Boy Advance nella sua prima versione del 2001
Dismesso lo storico e campione di vendite Game Boy, nel 2001 la Nintendo immise sul mercato la sua prima console portatile a 32 bit, il Game Boy Advance.
Dotato di un potente processore RM7TDMI a 16.78 MHz, monitor da 2,9" a colori - non retroilluminato - e stereo digitale a sei canali, la console era in pratica una versione portatile del glorioso SNES: non a caso, moltissimi giochi di gran successo furono conversioni pressoché dirette dei grandi classici del Super Nintendo degli anni '90.
Retrocompatibile con i giochi del Game Boy grazie al coprocessore Z80 integrato, fu un successo di pubblico strepitoso: oltre 37 milioni di pezzi venduti!
L'enorme successo della console fece prolungare a Nintendo il suo ciclo di vita: nel 2002 venne messa sul mercato la prima revisione chiamata Game Boy Advance SP, dotata di ampio display fronte illuminato, chiusura a conchiglia e batteria ricaricabile, considerata una delle migliori console portatili mai prodotte.
Anche per la versione SP il successo fu enorme: altri 43 milioni di pezzi venduti!
Tra i motivi di tanto successo, sicuramente c'è da includere un ottimo comparto hardware, una libreria di titoli sconfinata e di altissimo livello (basti solo ricordare i "Super Mario Advance", ossia i classici giochi di Super Mario per SNES
convertiti perfettamente), la piena retrocompatibilità con tutti i giochi Game Boy e Game Boy Color e, dalla versione SP in poi, la comodità della ricarica dell'accumulatore ai polimeri di litio integrato.
Il Game Boy Advance SP, con schermo illuminato
Il Game Boy Advance fu anche la prima console portatile Nintendo a sperimentare il collegamento diretto con un'altra console da salotto, in questo caso il Game Cube.
Tramite apposito cavo, difatti,
i giocatori potevano mettere in comunicazione le due console nei giochi specificatamente progettati per lo scopo: una novità per l'epoca, anche se la funzione fu ben poco implementata dagli sviluppatori.
Sebbene non in grado di supportare nativamente il calcolo 3D puro, la potenza della CPU permetteva al Game Boy Advance di riprodurre un grezzo ambiente poligonale, sulla falsariga del Mode 7 del SNES.
Questo permise lo sviluppo di molti giochi che includevano rotazioni del piano dell'orizzonte e scaling degli sprite, come ad esempio "Mario Kart Super Circuit" e "F-Zero: Maximum Velocity".
Tra la miriade di eccellenti titoli prodotti per la piccola console vale la pena ricordare almeno "Metroid: Zero Mission", "Metroid Fusion" e "The Legend of Zelda: The Minish Cap", considerata una delle migliori avventure di Link.
Il Game Boy Micro con la mascherina Famicom
Nel 2005, Nintendo mise in commercio l'ultima revisione del Game Boy Advance, ossia il piccolissimo Game Boy Micro.
Grande quasi come una carta di credito e dal design sintetico e minimale, montava un LCD retroilluminato a contrasto regolabile, mentre l'estetica poteva essere cambiata per mezzo di mascherine frontali di varie colorazioni.
Internamente eguale al Game Boy Advance SP, perdeva però la retrocompatibilità con i giochi del Game Boy originale.
Nel 2008, dopo sette anni di commercializzazione, il sistema Game Boy Advance fu ritirato dal mercato.
Complessivamente, il progetto Game Boy Advance si rivelò uno dei più grandi successi di Nintendo: quasi 90 milioni di unità piazzate in tutto il mondo, per una cifra di poco inferiore al già incredibile successo del primo Game Boy.
Nokia N-Gage
La prima versione di Nokia N-Gage
Nel 2003, il colosso finlandese Nokia, all'epoca leader incontrastato del mercato della telefonia mobile, con uno share market pazzesco di oltre il 70%, decise che era cosa buona e profittevole infilarsi nel mercato dei giochi mobili, dominato da Nintendo con la sua linea Game Boy Advance.
L'idea non era peregrina per nulla, almeno non per per chi dettava il bello ed il cattivo tempo nel mondo dei cellulari: al tempo Nokia già progettava e vendeva i primi telefoni smartphone, ed il nascente e lucroso settore dei giochi passatempo sui cellulari - quasi tutti progettati in Java - era un'occasione troppo ghiotta per farsela scappare, specie con una potenza di mercato così schiacciante.
Il risultato delle ricerche di marketing e del lavoro dei progettisti Nokia in tal senso fu il Nokia N-Gage, il primo smartphone progettato principalmente per il gioco elettronico.
Dal design vagamente somigliante ad un 'Sofficino' della Findus oppure al famoso Winner Taco dell'Algida, la console montava un performante processore ARM920T a 104 MHz, era gestita dal Symbian OS 6.1 ed includeva antenne HSCSD, GPRS e Bluetooth.
Accettava giochi su scheda di memoria dedicata, ed aveva un display LCD retroilluminato a colori di aspect ratio abbastanza insolito: 176 x 208 pixel, sviluppato in senso verticale e non orizzontale.
La console fu commercializzata
con una discutibile politica di marketing, incentrata con un prezzo da selezione, estremamente elevato: circa 300,00 Euro, una cifra notevole per l'epoca anche in rapporto alla concorrenza.
Fin da subito, a parte il prezzo mostruoso, la console fu invisa ai consumatori per una serie di considerevoli problemi, principalmente di carattere strutturale, tra cui:
- Dimensioni ed ergonomia generale pessime
La N-Gage si comportava male come console da gioco e malissimo come smartphone.
La sua disposizione di tasti e comandi rendeva confuso l'uso prettamente telefonico - chiamate, SMS, MMS, ecc ecc. - e difficile invece il controllo nei giochi; anche la presa del dispositivo era deludente: nell'uso come puro telefono era di una scomodità assoluta, mentre come console era fin troppo piccola; - La discutibile decisione di dotare la console di un atipico schermo allungato verticalmente
Totalmente fuori standard, almeno per il settore dei videogiochi, l'LCD così progettato rendeva la visione di filmati molto difficile, mentre gli sviluppatori trovavano estremamente complicato adattare i loro titoli all'insolito rapporto d'aspetto; - Pessimo supporto delle terze parti produttrici
Nokia, troppo sicura della sua posizione di predominio nel mercato dei cellulari, costrinse le software house ad accettare delle royalties e degli accordi improponibili.
Il risultato fu di uno scarsissimo interesse dei maggiori produttori mondiali di software per la nuova piattaforma, con conseguente penuria di titoli validi.
N-Gage vendette circa un milione di unità nei primi 11 mesi di commercializzazione: un disastro totale, anche considerando le enormi risorse investite da Nokia nel progetto.
La console fu snobbata da tutti: prezzo alto, pochi titoli interessanti, difetti strutturali sopra esposti ne decretarono il totale disinteresse del mercato.
La Nokia N-Gage QD
Nokia corse ai ripari nel 2004, progettando un restyling del prodotto volto a migliorare i difetti noti e a limare gli alti costi di produzione, tagliando ciò che era ritenuto superfluo nel primo modello (ad esempio, la connettività radio FM): la N-Gage QD, nuovo nome della console, si rivelò purtroppo un fiasco ancor più grande del primo modello, vendendo ancor meno copie.
Dopo due anni di sofferenze ed ingenti perdite economiche, nel 2005 Nokia ritirò il progetto N-Gage dal mercato, fermandone la produzione e la commercializzazione.
N-Gage fu uno dei più grossi fallimenti non solo della storia dei videogiochi, ma di tutto il settore elettronico e tecnologico in generale: Nokia investì una quantità enorme di soldi in ricerca e sviluppo del progetto, mentre le unità piazzate in tutto il mondo furono a malapena di due milioni.
Bisogna comunque dare a Cesare quel che è di Cesare, ed in questo caso a Nokia quel che, anni dopo, fecero Apple e Google: N-Gage fu il primo dispositivo veramente 'smart' nel mondo della telefonia del periodo, e molte delle sue caratteristiche concettuali possono essere riviste nel mondo tecnologico mobile contemporaneo.
Il progetto N-Gage ed il suo fallimento fu uno dei primi scricchiolii - neppure troppo lieve - dell'infrastruttura granitica di Nokia: l'azienda finlandese continuò ad accusare le grosse perdite del fiasco commerciale per anni, e secondo molti proprio N-Gage fu uno dei motivi della caduta del gigante del nord, avvenuta alla fine degli anni 2000.
Nintendo DS
Il Nintendo DS
Nel 2004, sorprendentemente prima negli USA e poi in Giappone, la Nintendo presentò la sua nuova console portatile, dalle caratteristiche decisamente innovative per l'epoca: il Nintendo DS.
'DS' come 'dual screen', la console presentava due display sovrapposti verticalmente, sulla falsariga dei gloriosi Game & Watch degli anni '80; uno dei due LCD, quello inferiore, era dotato di un digitalizzatore resistivo, che poteva essere attivato con la pressione delle dita oppure tramite apposita piccola stilo, che fuoriusciva dal corpo della console.
Le novità non erano finite però qui: il Nintendo DS presentava sensori giroscopici, un microfono integrato e un'antenna Wi-Fi per connettersi con le altre console oppure all'Internet, sfruttando il neonato servizio di gaming online di Nintendo, il Nintendo Wi-Fi Connection (precursore del Nintendo Network).
Compatibile con i giochi del Game Boy Advance, la console era spinta da una CPU 32 bit ARM946E-S a 67 MHz, supportata da un coprocessore sempre a 32 bit ARM7TDMI, che s'occupava della parte sonora, delle periferiche Wi-Fi e dell'esecuzione dei titoli Game Boy Advance.
Completavano la configurazione 4 MB di memoria RAM ed una batteria integrata ricaricabile ai polimeri di litio da 850 mAh.
Il Nintendo DS Lite, versione nero
Il sistema fu immediatamente un enorme successo, prendendo pressoché immediatamente il posto del Game Boy Advance
come console di riferimento per i giochi in mobilità : era una macchina discretamente potente ed estremamente interattiva, capace di calcolare buoni modelli 3D e fornire all'utente un'esperienza di gioco differente, soprattutto grazie allo schermo tattile.
La produzione di software fu altrettanto eccezionale: titoli come "Nintendogs", "New Super Mario Bros.", "Metroid Prime: Hunters", "The Legend of Zelda: Phantom Hourglass", "Mario Kart DS" e "Mario 64 DS", tutti di grandissima qualità , non fecero altro che spingere a livelli inimmaginabili le vendite, facendo della console una delle più vendute al mondo.
Il periodo del gioco multiplayer online era definitivamente esploso nel mercato, e la connettività del Nintendo DS fu un elemento vincente per Nintendo, anche se la società di Kyoto aveva accumulato un colpevolissimo ritardo nella produzione di servizi online decenti (errore che, di lì a poco, si tramuterà in marcata sofferenza economica).
Il Nintendo DSi XL, versione marrone
Nel 2006 ci fu il primo restyling della console: semplificata nelle linee originali (abbastanza tozze), minimalizzata e con i display leggermente aumentati di dimensione, il Nintendo DS Lite venne commercializzato in due colori: bianco perla o nero antracite, con un prezzo ribassato rispetto al lancio del modello precedente.
Nel 2009 ci fu la terza revisione della console, stavolta non un mero restyling ma un vero e proprio upgrade: il Nintendo DSi (la 'i' sta
per 'interactive') implementò una doppia fotocamera (fronte e retro), due nuovi processori ARM9 a 133 MHz e ARM7 a 33 MHz e 16 MB di RAM.
Queste caratteristiche lo rendevano molto più potente del primo modello prodotto, pur mantenendo la compatibilità piena con i giochi per Nintendo DS già distribuiti (a scapito però della retrocompatibilità con i titoli Game Boy Advance).
Contestualmente, venne commercializzata anche una versione con display maggiorati, chiamata Nintendo DSì XL, dotata di due grandi schermi da 4,2 pollici.
La linea dei Nintendo DS venne prodotta e commercializzata fino al 2014, e fu uno dei più grandi successi della storia dei videogiochi: oltre 154 milioni di console vendute, di poco inferiore al record di Playstation 2.
PlayStation Portable
La prima PlayStation Portable prodotta, chiamata PSP-1000
Per tentare di sfidare (e vincere) Nintendo nell'unico settore dell'intrattenimento elettronico che l'azienda di Kyoto dominava, nel 2004 la Sony lanciò sul mercato la sua prima console da gioco portatile, la PlayStation Portable, comunemente abbreviata con l'acronimo PSP.
In diretta concorrenza con il Nintendo DS, la console era all'epoca molto potente e dotata di funzionalità che si sarebbero viste solo di lì a qualche anno nel settore degli smartphone e dei tablet: ampio display retroilluminato da 4,3 pollici, a parte il puro gioco poteva riprodurre film, musica, immagini e addirittura navigare sull'Internet tramite apposito browser.
Innovativi anche i supporti su cui venivano distribuiti i giochi: dischi ottici molto simili al vecchio MiniDisc (ancora una dolorosa ferita per Sony) chiamati UMD (Universal Media Disc), capaci di stoccare sino a 1,8 GB di dati, più che sufficienti quindi per contenere un film di qualità DVD compresso.
La PlayStation Portable montava una CPU a 333 MHz MIPS R4000, 32 MB di RAM (espansi poi a 64 nelle versioni riviste successive alla prima)
e un'antenna Wi-Fi per collegarsi all'Internet ed usufruire dei servizi del PlayStation Network.
La PSP-3000
La memoria di stoccaggio poteva essere espansa grazie alle schede Memory Stick.
La console, anche grazie agli ottimi software prodotti, fu un eccellente successo per Sony: vendette subito molto bene,
e fu in pratica l'unico e vero concorrente serio per il Nintendo DS, che comunque non riuscì mai a raggiungere ed eguagliare nelle vendite.
La console subì differenti restyling nel corso degli anni: venne ridotta di peso e dimensioni e venne potenziata nell'hardware, e al modello di base (PSP-1000) si aggiunsero le PSP-2000, PSP-3000, PSP-N1000 (chiamata anche PSP Go) e la PSP-E1000 (PSP Street), tutte montanti l'OS PlayStation Portable system software.
La PSP-1000, prima versione assoluta della console, montava una batteria secondaria ai polimeri di litio da 1800 mAh, che garantiva dalle 4 alle 6 ore di gioco ininterrotto.
Non male davvero, considerando sia la potenza dell'hardware di calcolo e sia l'ampio display LCD illuminato.
Nelle versioni successive alla prima, la capacità della batteria passò a 1200 mAh per permettere un design più snello e sottile, mantenendo però la stessa autonomia di gioco grazie all'ottimizzazione del consumo energetico.
Tutte le versioni furono ritirate dal mercato nel 2014, dopo quindi ben 10 anni in cui Sony piazzò la bellezza di oltre 82 milioni di PSP, facendo quindi del progetto PlayStation Portable un ottimo successo.
Purtroppo per Sony, la PSP sarà la sua prima ed ultima console portatile di grande penetrazione sul mercato: PlayStation Vita, sua diretta discendente, non ripeterà mai tali numeri di vendita.
Apple iPhone e la rivoluzione degli smartphone
Un iPhone 5S con in esecuzione un gioco di corse d'auto
Nel gennaio del 2007, in un keynote passato alla storia, Steve Jobs annunciò l'imminente introduzione commerciale, da parte di Apple, del primo smartphone della casa di Cupertino, l'iPhone.
Sebbene non di certo con un hardware irresistibile, il nuovo dispositivo della mela era innovativo sotto molti aspetti concettuali: ampissimo display LCD totalmente tattile, pochissimi pulsanti fisici (ridotti solo quattro, più un commutatore a leva per il muto), OS minimale e ridotto ai minimi termini, con file manager di facilissimo accesso per l'utente.
In un periodo in cui la corsa alla miniaturizzazione dei cellulari aveva raggiunto risultati estremi, il telefono di Apple rappresentava una radicale spaccatura con il passato: il display stesso era il telefono, e l'approccio totalmente tattile era un concept innovativo per l'epoca.
Steve Jobs presenta il primo iPhone
iPhone portò una rivoluzione essenziale, non da tutti compresa all'inizio: un telefono cellulare vedeva, forse per la prima volta nella storia commerciale, la sua parte prettamente telefonica considerata secondaria rispetto alla fruizione dei contenuti multimediali, soprattutto quelli provenienti dall'Internet.
All'inizio della sua distribuzione, iPhone non prevedeva lo sviluppo di applicazioni di terze parti:
Apple aveva immaginato un sistema chiuso, fortemente controllato e in cui gli sviluppatori al massimo potevano produrre applicazioni web.
Parte di tutta questa chiusura era dipesa sostanzialmente dalla paura, da parte di Apple, di ritrovarsi in una situazione simile al mondo Nokia con il Symbian OS: un universo di applicazioni e sviluppatori totalmente incontrollabile, in cui prodotti di pessima qualità si mischiavano a veri e propri malware, peraltro senza corrispondere alla casa madre alcun diritto economico.
L'iPad, il dispositivo che diede inizio al fiorente mercato dei tablet PC di seconda generazione
La politica di Apple si rivelò ben presto
fallace: nel giro di poche settimane, hacker da tutto il mondo riuscirono a penetrare le falle di iPhoneOS (il vecchio nome di iOS), sviluppando ogni genere di software e distribuendolo sulla piattaforma Cydia.
La situazione spinse l'azienda di Cupertino a correre ai ripari, e dopo un anno Apple rilasciò il primo SDK agli sviluppatori, inaugurando anche l'App Store, il negozio digitale dove i produttori terze parti avrebbero potuto proporre e vendere i loro prodotti, pagando ad Apple la distribuzione ed una percentuale sul venduto.
La politica si rivelò vincente, e cambiò totalmente il mondo digitale: in pochissimo tempo l'App Store si popolò di ogni genere di programma, soprattutto giochi.
L'approccio totalmente touch dell'iPhone lo rendeva perfetto per sperimentare giochi veloci, rapidi, da consumare nei momenti di pausa senza troppe pretese: il 'casual gamer', ossia il videogiocatore non propriamente appassionato del mondo dell'intrattenimento elettronico, ma fruitore dei prodotti in maniera del tutto casuale.
"Plants VS Zombies" uno dei campioni di vendite sui dispositivi mobili
L'iPhone diede il via a quella che è chiamata la 'rivoluzione mobile', una delle più grandi metamorfosi dell'informatica, che ebbe tangibili e concreti effetti a brevissimo termine su un po' tutti i settori del commercio, dell'intrattenimento e della vita sociale in generale, tra cui il mondo videoludico: le grandi software house, intuito l'enorme potenziale del mercato, cominciarono a produrre giochi per iOS, Android e Windows Phone, con una quantità di titoli che, in brevissimo tempo, raggiunse cifre enormi.
Il progredire della produzione elettronica, con System-on-a-Chip sempre più potenti e hardware sempre più simile (in performance) ai calcolatori desktop ha ormai colmato il divario tra smartphone, tablet e console portatili: non è un caso che i maggiori produttori hardware come Nintendo o Sony abbiano tremendamente risentito del drastico cambio di gusti della popolazione, vedendo le vendite dei loro prodotti da gioco mobili (Nintendo 3DS e PlayStation Vita) calare enormemente rispetto a prodotti analoghi del passato.
"Infinity Blade", una delle saghe più amate su iOS
Oggigiorno il mercato del mobile gaming su smartphone e tablet risulta essere il primo settore del gioco elettronico, con un fatturato miliardario che surclassa il classico mercato del gioco da salotto: società storiche come Konami, CAPCOM, Electronic Arts e tante altre hanno gradualmente spostato il loro interesse dai titoli in tripla A a quelli mobili, e l'andamento non sembra invertibile nel breve periodo.
Bisogna considerare che il gioco casual sui tablet e sugli smartphone è rapido, è economico, è di facilissimo accesso e, soprattutto, non richiede un sistema dedicato: tutte caratteristiche vincenti per il grande pubblico, che spesso e volentieri non è esperto od appassionato di videogiochi, ma cerca solo il passatempo veloce con il quale... Ammazzare il tempo, per l'appunto.
Nintendo 3DS
Il primo Nintendo 3DS
Nel 2011, Nintendo presentò sul mercato l'erede della fortunata linea DS, ossa il Nintendo 3DS.
Dotato di due schermi, esattamente come il suo predecessore, il nuovo dispositivo implementava una caratteristica unica, facilmente intuibile già dal nome: la profondità 3D stereoscopica del display superiore.
Grazie ad una particolare tecnologia sviluppata internamente, la console poteva riprodurre immagini in movimento 3D senza l'ausilio di occhiali dedicati, una novità assoluta per il periodo.
Il Nintendo 2DS
L'hardware interno della prima versione distribuita era abbastanza potente: CPU principale Dual-Core ARM11 MPCore coadiuvata da un single-core ARM9, 128 MB di RAM e 6 MB di VRAM, batteria integrata ai polimeri di litio ricaricabile e tutto il correndo standard già presente sul Nintendo DS, come Wi-Fi, schermo inferiore tattile (resistivo), giroscopio, microfono e fotocamera (stavolta, in grado di scattare foto in 3D).
L'effetto 3D poteva essere regolato o disattivato per mezzo di un comodo potenziometro a leva di facile e rapido accesso.
La console fu la prima macchina Nintendo ad essere totalmente connessa con il Nintendo Network e, in generale, con i servizi online moderni: i titoli potevano essere caricati in memoria da schede SD tradizionali, oppure dal Nintendo eShop.
Il New Nintendo 2DS XL
Retrocompatibile con i giochi Nintendo DS, grazie alla virtualizzazione è possibile scaricare e giocare anche i titoli Game Boy e Game Boy Advance, acquistabili dall'eShop
Al contrario dei suoi predecessori, il lancio di Nintendo 3DS non fu per nulla agevole: complice l'altissimo prezzo (259,00 Euro in Italia) il primo periodo di commercializzazione fu difficile, tanto da far correre Nintendo ai ripari dopo pochissimi mesi, abbassando il prezzo di ben 100 Euro.
La console si riprese bene nelle vendite, complice anche un parco titoli di grande qualità prodotto col tempo; nel 2012 venne prodotto il Nintendo 3DS XL, con display molto più grandi sulla falsariga di quanto già fatto col Nintendo DSi XL e nel 2013 venne lanciato in commercio il Nintendo 2DS, versione senza autostereoscopia e priva del design a conchiglia, pensata principalmente per il pubblico più giovane (sotto i 12 anni) o non interessato al 3D.
La versione XL del Nintendo 3DS
Nel 2014, per mantenere competitiva la console su un mercato sempre più esoso di prestazioni computazionali, Nintendo introdusse il quarto restyling della console, chiamato New Nintendo 3DS.
Più che un rinnovamento, la nuova console è un vero e proprio upgrade: cambia la CPU, un'ARM11 MPCore quad-core 804 MHz con 4 co-processori, viene potenziata la RAM che passa a 256 MB e viene rivisto il sistema steroscopico, ora molto più stabile e meno affaticante per la vista.
Viene anche introdotta un'antenna NFC compatibile con gli Amiibo e, a livello prettamente funzionale, viene aggiunto un secondo stick analogico.
New Nintendo 3DS
La console risulta molto più potente e performante della prima versione prodotta, ma i giochi specificatamente sviluppati per il nuovo hardware si rivelarono subito pochissimi, rendendo di fatto molto dubbio l'acquisto per i possessori del primo Nintendo 3DS.
Con l'avvento di Nintendo Switch, il futuro del Nintendo 3DS - e della visione classica delle console mobili Nintendo in generale - appare incerto.
PlayStation Vita
La PlayStation Vita
Nel 2011, dopo aver mandato in pensione l'ottima PlayStation Portable, Sony decise per l'ennesima volta di cercare lo scontro frontale con Nintendo nel settore del mobile gaming, commercializzando la PlayStation Vita, console portatile diretta discendente della PSP.
La macchina da gioco era davvero iper-potenziata per il periodo: CPU Quad-core ARM Cortex-A9 MPCore con 512 MB di RAM, coprocessore grafico dedicato Quad-core PowerVR SGX543MP4+ ed ampissimo display tattile capacitivo da 5" e 960 × 544 pixel di risoluzione.
Una potenza di calcolo difficile da trovare altrove, anche nel settore dei tablet PC, che rendevano la nuova PlayStation Vita estremamente interessante per lo sviluppo di titoli in tripla A.
Era talmente potente da permettere lo streaming dei giochi della PlayStation 4, e quindi tutto lasciava ben sperare per un suo grande successo, sulla falsariga di quello avuto dalla PSP.
Purtroppo, le attese vennero deluse nella parte totale: la commercializzazione andò malissimo, e la console soffrì fin dall'inizio di una drammatica assenza di titoli validi, sia di Sony che delle terze parti.
In oltre sei anni di distribuzione, la console al marzo 2017 ha venduto poco più di 15 milioni di unità : un flop bello e buono, anche considerando quanto è costata in termini di progettazione, ideazione, sviluppo e distribuzione.
L'insuccesso della PlayStation Vita è da molti visto come la chiara indicazione del cambio totale del mercato e dei gusti degli utenti, sempre più rivolti ai giochi causal su smartphone e tablet e sempre meno disposti a spendere soldi per sistemi dedicati e costosi software.
Nintendo Switch
La Nintendo Switch, prima console ibrida di Nintendo
Nel 2016, dopo la fallimentare esperienza con il Wii U, pubblicizzato male e commercializzato peggio, Nintendo prese finalmente atto del grande cambiamento del mercato e, con un progetto cominciato nel 2014 denominato "NX", presentò al grande pubblico la Nintendo Switch, ossia la prima console ibrida della casa di Kyoto.
Dotata di grande schermo tattile da 6.2 pollici e da 1280 × 720 pixel di risoluzione, la console monta un System-on-a-Chip Nvidia Tegra X1, con una CPU ad otto core (4×ARM Cortex-A57 & 4×ARM Cortex-A53) e 1.020 GHz di frequenza coadiuvata da una GPU Nvidia GM20B Maxwell-based GPU a 384 MHz, con una RAM totale di 4 GB e slot per le schede microSD espandibile fino a 2 TB.
Caratteristica saliente della console è la sua spiccata natura ibrida: grazie ad un dock può collegarsi alla TV e divenire quindi un sistema completo da salotto, mentre i due controller chiamati Joy-Con possono essere agevolmente
sfilati dal tablet e usati separatamente, oppure uniti su un supporto che li fa diventare un vero e proprio joypad tradizionale.
Commercializzata nel 2017 con l'epico "The Legend of Zelda - Breath of the Wild", la console durante i primi due mesi di vita s'è comportata ben più che bene: oltre 2 milioni e mezzo di unità piazzate, un ottimo successo di vendite che fa ben sperare per il futuro.